Il pm sul delitto Pamio «Processate la Busetto»

Firmata la richiesta di giudizio immediato, la difesa può chiedere il rito abbreviato Prova decisiva il dna della vittima su una collanina trovata in casa dell’accusata
Di Giorgio Cecchetti

A tre mesi esatti dal suo arresto, il pubblico ministero Federico Bressan ha firmato la richiesta di giudizio immediato per Monica Busetto, l’inserviente del Fatebenefratelli in carcere per l’omicidio di Lida Taffi Pamio.

Il rappresentante della Procura tra pochi giorni se ne andrà da Venezia (ha ottenuto il trasferimento presso il Tribunale di Verona come giudice civile) e prima di lasciare gli uffici giudiziari lagunari ha chiuso le indagini e chiede al giudice che ha accolto la sua richiesta di ordinanza di custodia cautelare, Barbara Lancieri, di firmare il rinvio a giudizio davanti alla Corte d’assise per la 51enne mestrina, senza passare attraverso l’udienza preliminare. Dal momento della notifica dell’atto i difensori della donna, gli avvocati Alessandro Doglioni e Stefano Busetto, hanno quindici giorni di tempo per stabilire se attendere l’inizio del processo in aula o chiedere il rito abbreviato per la loro cliente.

In questo secondo caso, a celebrare l’udienza e a giudicare Monica Busetto non sarebbe lo stesso magistrato che ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare, bensì un altro magistrato, il giudice dell’udienza preliminare Marta Paccagnella, la stessa che in primo grado ha condannato Renzo Dekleva per l’omicidio della moglie Lucia Manca.

Firmando la richiesta di giudizio immediato il pubblico ministero dimostra di ritenere che le prove raccolte dagli investigatori sono evidenti, così come recita l’articolo del codice di procedura penale. La prova più importante per l’accusa e quella che la difesa ha cercato di smontare è il dna dell’87enne uccisa la sera del 20 dicembre 2012 nella sua casa di viale Vespucci sulla collanina d’oro spezzata e sequestrata dai poliziotti della Mobile nel portagioie della Busetto. Una prova schiacciante, visto che si tratta della catenina che sosteneva una medaglietta e una fede ritrovate a terra, sotto il corpo dell’anziana ormai senza vita il giorno del suo assassinio.

Omicidio particolarmente efferato quello di Lida Taffi Pamio: chi l’ha uccisa prima ha utilizzato uno schiaccianoci per picchiarla, quindi due coltelli, di cui uno ha perso il manico nella colluttazione, che le sono rimasti piantati addosso e, infine, il cavo elettrico stretto attorno al collo. Ci sono voluti ben quindici mesi di accertamenti ed esami di laboratorio prima di far scattare le manette ai polsi dell’inserviente che abita nello stesso pianerottolo della vittima, proprio di fronte e che sarebbe stata spinta ad uccidere dopo una lite scoppiata per banali motivi di condominio, presumibilmente, visto che l’indagata, almeno per ora, respinge risolutamente la pesantissima accusa. Gli avvocati Doglioni e Busetto puntano a smontare soprattutto la consulenza medico legale sul ritrovamento del dna dell’indagata sulla collana della vittima.

Hanno già tentato di farlo di fronte al Tribunale del riesame, sostenendo che la modesta quantità di dna che sarebbe stata ritrovata sul gioiello sequestrato non sarebbe stata sufficiente a stabilire l’identità della persona che l’aveva indossata. I giudici veneziani avevano risposto scrivendo che «le doglianze di carattere tecnico e scientifico non possono essere allo stato accolte, proveniendo non già da un consulente tecnico di parte che ne abbia esaminato gli esiti, bensì genericamente dal difensore che peraltro non risulta neppure aver preso parte agli accertamenti».

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