Il “Piave” trasformato in bordello

All’interno del cinema a luci rosse di via Permuda si svolgevano prestazioni sessuali a pagamento
Posti i sigilli al Cinema Piave di Mestre.
Posti i sigilli al Cinema Piave di Mestre.

Altro che pop corn. Il cinema era usato come un bordello per la prostituzione maschile. La sala a luci rosse Piave di via Premuda è stata chiusa perché all'interno si svolgevano «prestazioni sessuali a pagamento offerte da persone di sesso maschile (omosessuali, transessuali)» e «anche minorenni» a «uomini ivi presenti». Lo si legge nell’ordinanza di custodia cautelare che su ordine del giudice per le indagini preliminari di Milano Annamaria Zamagni e su richiesta del pubblico ministero Ester Nocera, a seguito delle indagine della polizia locale di Milano, ha portato alla chiusura di tre cinema milanesi, uno di Genova, uno di Catania e uno di Mestre, il “Piave”, l’ultima sala a luci rosse rimasta aperta in città. Gli agenti della polizia locale meneghina sono arrivati in città mercoledì e nella stessa giornata, con il supporto dei colleghi mestrini, hanno posto i sigilli al locale del quartiere Piave, chiudendolo con il classico nastro bianco e rosso, e apposto un cartello alla porta d’ingresso nel quale si può leggere: «Polizia locale di Milano, locale sottoposto a sequestro dell’autorità giudiziaria». Stando all'imputazione i venti indagati, ai quali è stato notificato l'avviso di conclusione delle indagini, «utilizzavano le sale cinematografiche con il solo scopo di permettere che all'interno si svolgessero prestazioni sessuali a pagamento offerte da persone di sesso maschile - omosessuali, transessuali, in alcuni casi anche minorenni - con i presenti». Clienti che, si legge ancora nell'imputazione, «con il pretesto della visione cinematografica, potevano usufruire di tali prestazioni pagando il solo biglietto per la visione del film e permanere ininterrottamente nella sala». I gestori titolari della società che gestiva il cinema, scrive ancora il pubblico ministero Nocera, si garantivano così «il guadagno non in ragione della visione del film, peraltro spezzoni di film senza alcuna trama oppure ripetuti senza soluzione di continuità, ma della frequentazione di uomini dediti alla prostituzione e uomini in cerca di tali prestazioni». Tre dei venti indagati, a seguito delle indagini condotte dalla Polizia Locale di Milano, sono anche finiti in carcere: sono Giuseppe Santo Lanzafame e Salvatore Di Liberto, i gestori dei cinema posti sotto sequestro, compreso quindi il “Piave”, e Salvatore Germanà, che secondo l’accusa aveva il «ruolo di gestire il personale dipendente». Gli altri indagati sono dipendenti delle sale, cassieri e addetti alla sicurezza. Al centro dell'inchiesta ci sono i reati di favoreggiamento della prostituzione anche minorile e di associazione per delinquere. Oltre alla sala di Mestre, a Milano sono stati sequestrati i cinema Ambra, Garden e Sempion, a Genova il Centrale e a Catania il Sarah. Della stessa inchiesta fa parte un altro cinema chiuso lo scorso novembre a Padova, il Ducale di via Facciolati. I due gestori, un congolese e un cittadino della Costa d'Avorio, erano stati indagati per favoreggiamento della prostituzione. Nei mesi successivi le indagini hanno portato anche a tenere d’occhi il cinema mestrino.

Francesco Furlan

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia