Il monitor anti-maremoto: dal Veneto al Sudest asiatico

A dieci anni dalla catastrofe, adottato il sistema di sicurezza dell’azienda Nesa. Sensori a 4 mila metri di profondità che segnalano i movimenti in tempo reale
Lo "tsunamimetro" pronto per essere ancorato sul fondale
Lo "tsunamimetro" pronto per essere ancorato sul fondale

VIDOR Grazie a un’azienda veneta il Sudest asiatico ha rilanciato il turismo dopo lo tsunami del 2004. A dieci anni esatti dalla catastrofe che provocò oltre 230 mila vittime, i sensori della Nesa hanno contribuito a creare un sistema di sicurezza che ha riportato i turisti a Sumatra, nell’Indonesia, alle Maldive, nello Sri Lanka e in India. Nata nel 2004, oggi Nesa ha 15 dipendenti, età media 35 anni, tra la sede principale di Vidor e quella di Varese. «Produciamo sistemi di monitoraggio ambientale», spiega Pierluigi Bassetto, 42 anni, ingegnere elettronico, contitolare insieme a Mario Adami «si tratta di apparecchiature e sistemi che servono ad acquisire le informazioni necessarie alla meteorologia, all’idrologia e alla misurazione del vento. La prevenzione degli tsunami è solo una delle applicazioni dei nostri sensori che possono essere utilizzati in tutto ciò che ha a che fare con il rischio ambientale».

Il sensore della Nesa
Il sensore della Nesa

Proprio la catastrofe, provocata il 26 dicembre 2004 da un terremoto sottomarino di 9,1 gradi della scala Richter che generò un'onda di maremoto alta 20 metri che investì 14 paesi, ha dato notorietà internazionale all’azienda di Vidor. «Nel periodo 2006-2007 abbiamo avviato il monitoraggio dello tsunami nel golfo del Bengala», spiega Bassetto «siamo stati un mese e mezzo a bordo di una nave oceanografica a 1.800 miglia dalla costa per mettere un dispositivo a 4 mila metri di profondità al largo delle isole Andamane».

Pierluigi Bassetto
Pierluigi Bassetto

Il dispositivo Poseidon è a tutti gli effetti uno “tsunamimetro", composto da un calcolatore e una boa. Il primo viene ancorato sul fondale, la seconda rimane in superficie in corrispondenza con l'impianto sottomarino. Tramite una serie di onde acustiche il computer sul fondale calcola le variazioni del livello dell'acqua in un preciso lasso di tempo riuscendo quindi a individuare e suddividere maree comuni, movimenti particolari e onde anomale. «Tutto il procedimento avviene in pochi secondi», puntualizzano i tecnici della Nesa, «permettendo agli studiosi a terra di mantenere un costante monitoraggio sulla situazione di quella specifica area dell'oceano. In caso di tsunami o di altri fenomeni marini, l'istituto oceanografico indiano potrà dare direttamente l'allarme».

Lo "tsunamimetro" pronto per essere ancorato sul fondale
Lo "tsunamimetro" pronto per essere ancorato sul fondale

Il costo dei due impianti è stato di 150 mila euro ciascuno. La ricostruzione post tsunami ha richiesto investimenti per quasi venti miliardi di euro. Dopo quell’esperienza la Nesa ha operato in altri teatri ambientali “caldi”. «Il progetto di cui più andiamo orgogliosi», rivela Bassetto, «è stato realizzato nel 2011 in 15 paesi caraibici del Centro America, con la rete di sensori collocati anche nelle foreste tropicali. Un sistema che ha consentito di monitorare anche l’uragano Sandy».

I sub controllano le operazioni di posizionamento
I sub controllano le operazioni di posizionamento

«Ormai siamo presenti in 60 paesi tra Europa, Asia, Africa e Nord Africa», dicono i titolari. Che non trascurano l’Italia: «In Val Rabbia, nel comune bresciano di Sonico, abbiamo realizzato un sistema di monitoraggio per prevenire il fenomeno dei torrenti che, dopo un’intensa pioggia, si riempiono di massi provocando a valle esondazioni e danni a ponti, argini e case. L’anno scorso, questo progetto sperimentale ha dimostrato la sua validità, evitando agli abitanti del luogo di essere sul ponte nel momento in cui l’ondata di piena l’ha trascinato via».

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