Il mistero dei minori abbandonati a Venezia: 60 lasciati in questura in nove mesi

Gli ultimi due, albanesi, si sono presentati a Santa Chiara senza alcun documento. Vestiti bene, puliti, arrivano in treno, aereo, oppure in autobus o accompagnati da genitori 
SCATTOLIN VENEZIA 28/08/2007 Questura S.Chiara volanti polizia..© Bertolin M.
SCATTOLIN VENEZIA 28/08/2007 Questura S.Chiara volanti polizia..© Bertolin M.

VENEZIA. Gli ultimi due sono arrivati martedì pomeriggio. Vestiti bene, puliti, con una manciata di euro in tasca i documenti, si sono presentati al corpo di guardia della Questura dicendo di essere in Italia senza nessuno. Uno di 15 e l’altro di 16 anni. Entrambi albanesi.

Sono minorenni e come la legge prevede la polizia in collaborazione con il Comune li hanno presi in consegna e sistemati in una struttura per minori non accompagnati. Spetta loro un posto dove dormire e mangiare, la possibilità di frequentare una scuola fino a quando diventeranno maggiorenni. O terminare il ciclo di studi intrapreso. E non arrivano con i barconi o nascosti dentro a un camion o nella pancia di una nave.

Mettono piede in Italia dopo un comodo viaggio in autobus, in treno o in aereo. Ma c’è chi arriva pure accompagnato in auto dai genitori, come è avvenuto lo scorso anno a Santa Chiara, una domenica pomeriggio.

È un flusso continuo e dura da almeno tre anni, sono i minori non accompagnati albanesi e kosovari che arrivano in Italia spediti, quasi sempre, dalle famiglie per essere mantenuti dal nostro sistema di assistenza fino a quando, terminano gli studi e diventano maggiorenni. Nel frattempo, sfruttando la rete di parenti e conoscenti presenti nelle nostre città, si inseriscono e alla fine ottengono il permesso di soggiorno. Gli arrivi si sono fermati solo in occasione dei primi tre mesi di lockdown.

Poi con una regolarità da orologio svizzero, almeno tre minori la settimana si sono presentati in Questura a chiedere accoglienza. Venezia è una delle mete preferite. Dall’inizio dell’anno sono una sessantina che hanno trovato accoglienza e una sistemazione.

La legge parla chiaro: per migrante minore non accompagnato si intende un minorenne senza cittadinanza italiana che si trova in Italia privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti. In teoria dovrebbe essere solo, senza contatti e senza familiari. Ma non è così per i ragazzi albanesi e kosovari. Arrivano legalmente, si fingono “non accompagnati” e vengono accolti nelle strutture per minori. Quando non sono accompagnati dai genitori vengono consegnati con una procura all’autista di un bus diretto Italia.

Di solito, per raggiungere l’Italia hanno bisogno “dell’invito” di un parente o amico che abita qui. Si tratta di una documento in cui uno straniero legalmente residente dichiara di voler ospitare il minore, di farsi carico delle spese di sostentamento, di aver stipulato a suo nome un’assicurazione sanitaria e di aver messo a disposizione una fideiussione bancaria. Con questo foglio in mano, un minore albanese può entrare tranquillamente.

Alla scadenza del visto dovrebbe tornare a casa. Ma non finisce così. Infatti prima del termine butta via il documento e si presenta alla polizia spacciandosi per un minore non accompagnato. Del resto di lui non c’è traccia fino a quel momento. Quando arriva alla frontiera con l’invito del famigliare o dell’amico non viene registrato e quindi poi non si può verificare quando e come è arrivato.

Il dato complessivo certo, relativo ai minori non accompagnati riguarda lo scorso anno, quando al 31 dicembre il nostro Paese garantiva accoglienza e percorsi di integrazione a 7.580 migranti non maggiorenni. Di questi, la maggioranza arriva da Albania e Kosovo: 2.021 ragazzi di età compresa tra i 14 e i 17 anni.

Alle difficoltà oggettive legate alla gestione dei ragazzi quando si presentano alla polizia, dalla primavere si sono aggiunte quelle che dipendono dalle misure anti-covid. Infatti a tutti questi ragazzi deve essere eseguito il tampone prima di entrare in un centro di accoglienza del Comune. Nel caso risultasse positivo a quel punto non è più il Comune che lo deve prendere in carico ma la polizia lo deve gestire in collaborazione con l’Usl.

Capita spesso che il ragazzo, in attesa che venga trovato un posto nella struttura dove sarà ospite durante la quarantena, rimanga diverse ore negli uffici della polizia. È capitato che ci sia rimasto anche per un giorno intero con il rischio di contagiare l’intera Questura. —


 

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