Il “Doganiere” che aprì la strada alla nuova pittura

A Venezia tornano i capolavori di Rousseau, in un confronto audace con le influenze delle sue opere
"L'incantatrice di serpenti" di Henri Rousseau
"L'incantatrice di serpenti" di Henri Rousseau

VENEZIA. Tornano a Venezia dopo 65 anni - dal piccolo omaggio che la Biennale del 1950 gli dedicò, per iniziativa di Rodolfo Pallucchini, Lionello Venturi e Carlo Ludovico Ragghianti - le opere del “Doganiere” Henri Rousseau, nella prima retrospettiva italiana che la Fondazione Musei Civici Veneziani gli dedica negli appartamenti del Doge a Palazzo Ducale.

La mostra - che si apre venerdì 6 marzo per il pubblico, fino al 5 luglio - è curata dal direttore dell’istituzione Gabriella Belli e da Guy Cogeval, presidente del Musée d’Orsay e del Musée de l’Orangerie da cui provengono buone parte delle opere di questo artista in parte autodidatta e a lungo misconosciuto, perché “accusato” nella Parigi postimpressionista e già percorsa dai venti delle avanguardie, di dare vita a una pittura naif, apparentemente ingenua e fuori dal tempo, che pare richiamare a volte gli ex voto popolari e nel contempo legarsi a un certo realismo magico e infantile.

Nulla di più inesatto secondo in particolare Gabriella Belli e la mostra “Henri Rousseau - Il candore arcaico”, oltre e più che su di lui, è sull’influenza che dopo il Cubismo e il Futurismo, il pittore amato da Delaunay (che gli dedica il ritratto che chiude la mostra) cantato da Apollinaire, apprezzato e “collezionato” da Picasso, avrebbe esercitato su molti dei grandi artisti che lo seguirono. Per Belli, Rousseau ha rappresentato la terza via, dopo la fuga di Gauguin e la scultura nera legata allo stesso Picasso: «la via del realismo verginale, del candore arcaico che permetterà un decennio dopo ai pittori tedeschi e italiani di ripartire per costruire la nuova pittura europea». L'artista francese, nato a Laval nel 1844 e morto nel 1910, che ha riportato il disegno quale elemento fondante del quadro e di fatto solo negli ultimi vent’anni di vita si è dedicato interamente alla pittura, sente la fascinazione per la vita e la natura esotica e la sala forse più bella della mostra è quella del “trionfo” delle sue giungle e delle sue fiere, in tele quasi animistiche nella loro tersa nettezza di contorni, a cominciare da quell’Incantatrice di serpenti che gli commissionò la stessa madre di Delaunay. Ma anche grandi teleri come “La Guerra” - nella sala in cui è esposta accanto a opere in tema di Goya, di Ensor, di Bouguereau, tra gli altri e a un capolavoro assoluto rinascimentale come “Il trionfo della Morte” dello Scheggia - simboleggiano la cifra pittorica e l’essenzialità di Rousseau, che torna anche nei suoi ritratti, nelle nature morte, nei paesaggi che sembrano senza tempo e senza dimensioni.

Accanto a circa quaranta opere dell’artista ce ne sono però in mostra altre sessanta circa che documentano - nell’intenzione dei curatori - influenze dirette e suggestioni della sua pittura e questo è insieme il punto di maggiore interesse e quello più problematico della complessa esposizione veneziana. Perché se da un lato i continui confronti e rimandi alla pittura di Rousseau - molte volte sostenuti con filologica cura - affascinano, dall’altro il rischio è che l’opera dell’artista un po’ “naufraghi” in questo mare aperto in cui non è sempre facile scorgere il filo rosso che la sottende, in particolari nelle suggestioni riferite alla pittura antica. Confronti che spaziano dai primitivi a Giorgio Morandi e Carlo Carrà, passando per Gauguin, Cezanne, Seurat, Ernst, Klee, o l’arte statunitense di metà ’800 e, ancora Diego Rivera e Frida Kahlo. Ma ci sono anche Kandinskij e Marc per l’influenza esercitata dall’artista francese sul Blaue Reiter (Cavaliere Azzurro). Ma anche i richiami ferini di Delacroix, quelli silvani – estremamente convincenti - di Brauner, i vasi di Odilon Redon, con quelli di Donghi e Morandi nel confronto con quelli di Rousseau. Tanta carne al fuoco, dunque nel ricercare, più che le radici della pittura di Rousseau i suoi germogli, in una mostra comunque impaginata con sapienza da Daniela Ferretti. Fondamentale per la comprensione del pubblico di questo artista solo apparentemente semplice e della fitta rete di rimandi di cui è intessuta la mostra, l’apparato informativo - ieri ancora in fase di allestimento - perché un’esposizione così ambiziosa, ha bisogno di essere pienamente compresa, per essere apprezzata fino in fondo.

Orari e biglietti. La mostra “Henri Rousseau. Il candore arcaico” si visita fino al 5 luglio a Palazzo Ducale, a Venezia, allestita nell’Appartamento del Doge. È aperta da domenica a giovedì dallle 9 alle 19; venerdì e sabato fino alle 20 (la biglietteria chiude sempre un’ora prima). Biglietto intero 13 euro, ridotto 11. Informazioni e prevendite 041 0988169. www.ticket.it/rousseau www.mostrarousseau.it La mostra presenta quaranta opere dell’artista ed è di fatto senza precedenti in Italia, se si esclude un lontano omaggio a opera della Biennale.

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