Il direttore Barbera: "Vi presento Venezia73, viaggio nel cinema"

"Più film, ben 65, e una varietà assoluta tra i generi" LO SPECIALE film, star, curiosità di Venezia73
Alberto Barbera, direttore della Mostra del cinema
Alberto Barbera, direttore della Mostra del cinema

VENEZIA. Barbera 2020 è la sintesi di un progetto che sottende al più lungo mandato di un direttore della storia della Mostra del Cinema. La selezione di quest'anno, già ne sente gli effetti: il cartellone è ricco di nomi importanti, di star, cineasti dal pedigree accurato e giovani leoni emergenti.

Un programma che trasmette sicurezza. Alberto Barbera lo spiega: «Possiamo dare continuità al nostro lavoro e stabilità ai rapporti internazionali. Per Venezia 73, abbiamo cercato di allargare lo spettro, ampliando l'offerta d'una decina di film, saranno 65, ma soprattutto anche la varietà delle opere, coinvolgendo qualità e argomenti. Un'occasione senz'altro suggerita dalla nuova sala del Cinema nel giardino».

Il Cinema nel giardino era stato pensato come uno speciale sul cinema italiano: poi provincialismi e paura di essere declassati l'ha resa più internazionale.«Infatti a fianco di Gabriele Muccino, ci sono James Franco e Kim Ki-duk, ma anche Michele Santoro per non parlare dell'evento di Francesco Carrozzini, dedicato alla madre Franca Sozzani, uno degli appuntamenti glamour».

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Sonia Bergamasco, la madrina della Mostra del Cinema è sbarcata al Lido

Una Mostra ad ampio spettro, nella quale trovano cittadinanza il cinema d'autore e quello di genere. «Il tentativo era quello di attraversare tutto il cinema contemporaneo, dedicando maggior attenzione al cinema medio, quello che un tempo era detto "artigianale", ma di qualità, e oggi è in declino. Noi vorremmo che trovasse maggior spazio anche nei festival, in concorso: superando antichi pregiudizi».

E infatti Venezia 73 apre e chiude con film di genere, un musical e un western. A scorrere le sinossi dei film si respira molta new age, ricerca di un assoluto filosofico e religioso: l'attenzione per la storia sociale non è più di moda? «In realtà l'attenzione per la contemporaneità non è mai venuta meno, solo che sono stati introdotti dei filtri: prima lo sguardo dei cineasti era diretto, ora gli stessi temi sono trattati in modo indiretto, magari attraverso la mediazione della letteratura o la ricerca di un approfondimento più alto, a tratti anche mistico come nel caso di Terrence Malick. E poi c'è Sorrentino: non è la prima volta che la produzione seriale arriva alla Mostra».

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"Heimat" però era nato per il cinema, al contrario di "The Young Pope". «È stata un'occasione: Sky Atlantic ha anticipato la serie a ottobre, quindi è stato possibile presentarlo qui. Vedremo ancora una volta un Sorrentino spiazzante, che solo in parte mette "House of cards" tra le mura del Vaticano. Quella è solo la superficie, il film scarta a ogni sequenza. D'altra parte ormai tutti i grandi registi si confrontano con la serialità. Anche questo è un modo di allargare lo sguardo. Anche il mercato cambia: presenteremo 45 progetti di qualità già in via di definizione. Tra questi il primo lungometraggio a realtà virtuale a 360°, "Jesus"».

Ogni mostra ha il suo scandalo: ci stupirà ancora Ulrich Seidl o sarà la storia dell'anarchico William Powell ad agitare il pubblico? «Seidl segna un maggior distacco nel raccontare "Safari", è legale ciò che fanno i protagonisti, ma durissimo egualmente. "American Anarchist" di Charlie Siskel è invece un'intervista forte all'autore del "Ricettario dell'anarchico", un manuale per la fabbricazione di esplosivi che ha venduto due milioni di copie, anche se il suo autore ne ha preso le distanze».

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