Il covo degli irriducibili di Castello che ha incantato Dillon
Resiste l’ultima sezione della Rifondazione Comunista a Castello. Matt Dillon, affascinato dal luogo durante le riprese di un film, l’ha immortalato su Instagram
VENEZIA. Nei giorni di sole (quelli perfetti per il bucato) chi gira l’angolo e sbuca in calle vede d’acchito la bandiera rossa con falce e martello garrire alla testa di una distesa di panni stesi ad asciugare, appesi a lunghe cime che corrono tra le mura di case che si fronteggiano. Sembrano avanzare in ondate successive e ordinate: lenzuola, federe, asciugamani, magliette da gondoliere, grembiuli, camicie, pantaloni, maglioni, T-shirt.
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 16.07.2018.- Riprese a Venezia del film Honey in the Head. Nick Nolte e Matt Dillon
Un corteo in puro cotone e vera lana; una marcia colorata e agitata da refoli di vento che si azzuffano nella la calle. «È una cartolina; una immagine che tutti si fermano a catturare. Se avessimo dieci centesimi per ogni foto scattata alla bandiera ed a ciò che le sta dietro, potremmo vivere di rendita. Intendo tutti noi della sezione di Rifondazione Comunista di Castello, l’ultima rimasta nei sestieri di Venezia». Un luogo che non passa inosservato. Anche Matt Dillon ne è rimasto incantato. In questi giorni l’attore è a Venezia per girare un film con Nick Nolte e su Instagram ha ringraziato “the last communist social club” di Venezia, trasformato in una base durante le riprese.
Oggi quella bandiera è assicurata da un lucchetto: «ce la sfilavano per sventolarla allo stadio, a Sant’Elena». Un piccolo lavoro di carpenteria ha risolto la faccenda.
Oltre la porta, sotto la bandiera, s’apre la sede di partito comunista che ti aspetti: profili di Lenin, l’ultima poesia di Pablo Neruda, Che Guevara nel ritratto eseguito da Korda, manifesti, bozzetti, foto, passato e futuro, la bandiera di Cuba, immagini de l’Avana. Ma anche ciò che ti aspetti meno: su di un’architrave, come sciarpa tesa sopra teste di tifosi al Taliercio, due banner con l’incitamento “Forza Reyer” e “duri i banchi” separati da una piccola maschera bianca con impressa falce e martello rossa. «Perché qui entra tutto ciò che fa parte di noi: quindi la fede o la rinuncia, gli affetti, le passioni, le idee, le discussioni, il tifo» spiega un iscritto con il fisique du role e un passato intensamente dedicato allo sport. «Qualche volta entra anche qualcuno che forse starebbe meglio fuori» sancisce un altro «e tra quelli di noi che stanno dentro c’è anche chi storce il naso. Nonostante questo, a priori non abbiamo mai rifiutato il dialogo con nessuno».
Le gondole osano raramente, nei canali di quassù, ma la zona è in posizione strategica per il turismo di passo che, nei mesi della biennale, fa spola tra l’Arsenale ed i giardini. La scorsa estate, dicono, un cinese vista la bandiera rossa si è precipitato all’inerno e ha abbracciato tutti. Si è sentito a casa. Una ragazza francese si è aggirata tra tavoli e sedie confrontando il luogo con una foto che reggeva in mano. Ritraeva di tre quarti un ragazzo giovane, bruno, serio. «Sì, ce lo ricordavamo bene», garantiscono tutti. «Si faceva vivo ogni anno, ed ogni volta nel medesimo periodo. Parlava raramente». La ragazza ha chiesto che la foto fosse appesa sul muro sopra la seggiola su cui era ritratto seduto; il ragazzo (il suo ragazzo) parigino come lei, era morto pochi mesi prima in un incidente di moto nell’Ile de France. E lei aveva pensato di ricordarlo così. La foto, da allora, è sempre lì, in cornice.
Una volta, un gruppo olandese ha fatto capolino agitando un tablet, facendo scorrere un testo e garantendo che nella pagina si parlava proprio in quella stanza. Lingua incomprensibile, foto chiarissime: esattamente i loro muri, senza tema di smentita. A volte entrano giornalisti stranieri che giungono alla sezione come seguendo gli indizi di una caccia al tesoro. La sede è stata raccontata nei telegiornali dell’America Latina, dell’Europa del nord, dell’Oriente. In Uruguay, riferiscono in sezione, esiste una manifestazione d’arte (una biennale sudamericana, la definiscono) che in una occasione ha esposto proprio le immagini di quella stanzetta (due finestre in fondamenta, la porta in corte) considerata un simbolo che riaffiora dal mare della memoria. «No, non abbiamo pensato a questo luogo perché si trova a ridosso dell’Arsenale dei veneziani» che un tempo impiegava 25.000 operai e, se serviva, varava una galea al giorno.
«Un compagno imprenditore ha scovato l’occasione ed ha anticipato i soldi». Salpano i ricordi, compreso quello che racconta del Partigiano Reggiano, gruppo di acquisto popolare solidale per aiutare le imprese emiliane disastrate dopo il terremoto e alimentare, nel contempo, la dispensa di casa.
La Rivoluzione d’Ottobre è passata da più di cent’anni. Domanda: orgogliosi di essere gli ultimi, o preoccupati dal fatto di esserlo? Da come scattano le risposte, si intuisce l’orgoglio; da come si sviluppano, si percepisce la preoccupazione. «Orgogliosi? Sì. Preoccupati? Molto. Ma non per noi; per lo spopolamento; la gente del posto che se ne va come da una ferita che non si stagna; il dubbio che oggi possa contare più un like su facebook che una riunione. Il sestiere è quello che probabilmente presenta la componente operaia più forte; le lingue straniere non sono frequenti come in altri. Regna il dialettocome a casa».
Fuori, in alto a sinistra, la bandiera. Ancora più a sinistra, a ridosso dell’angolo, un tabernacolo protetto da due antine. All’interno l’immagine di Cristo. Luminosa; pulita.
«Ci teniamo» affermano. Aggiungendo: «Le bandine in merletto le preparavano le monache che gestivano la mensa popolare». L’immagine sacra è parte integrante della storia del luogo. «Abbiamo effettuato un intervento di manutenzione, a suo tempo, ed anche invitato il sacerdote a benedirla. Lo so: quando lo diciamo, parte subito una tiritera che inevitabilmente finisce citando Peppone e don Camillo».
In una foto appesa alla parete un ragazzo giovanissimo ma riconoscibile ancora nel gruppetto raccolto nella stanza, sta dritto nel mezzo di via Garibaldi, allungando ai passanti copie dell’Unità. Vendita militante. Sessant’anni fa.
Discussione: «Fino a che punto siamo disposti ad allargare l’ambito a sinistra? Fino a comprendere coloro che non si riconoscano nei valori neo-liberisti e siano contrari ad abbattere lo stato sociale». —
Nereo Balanzin
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