Il caso Manca, i Ris: «Eccp come abbiamo incastrato l’assassino di Lucia»

Il generale Cataldi (Racis): «Questa indagine è il miglior successo del Ris, dalle analisi sulla saliva al ticket autostradale». L’appello ribalterà qualcosa? «Credo di no»

VENEZIA. «Il nostro miglior successo, è stata l’individuazione dell’omicida di Lucia Manca». A svelare i passi dei carabinieri nell’omicidio della bancaria di Marcon, di cui proprio il marito aveva denunciato la scomparsa in una calda giornata di luglio del 2011, è il generale Enrico Cataldi, Comandante Racis (Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche) di Roma, colui che sovrintende a tutte le indagini dei Ris italiani. Intervenendo sul delicato tema del femminicidio e degli omicidi seguiti dai Ris in questi anni, dal delitto di Garlasco a quello di Lignano Sabbiadoro fino ad arrivare all’omicidio di Udine, Cataldi si è soffermato sul mistero che per due anni ha avvolto Marcon e tutto il Nordest. Un comune sconvolto da un episodio di violenza inaudita, da un omicidio della porta accanto, che si è consumato in una notte del luglio di due anni fa, mentre gli abitanti della via, a due passi dalla caserma dei carabinieri, dormivano tranquillamente.

«Anzitutto», spiega Cataldi, «è una indagine tecnica partita dal supposto logico che una donna che scompare senza portare con sé via nulla, cellulare, portafogli, soldi, probabilmente non voleva sparire. A questo punto l’indagine si è concentrata sul marito».

Renzo Dekleva, lo stesso che aveva denunciato la scomparsa della moglie il giorno successivo, proprio ai carabinieri di Marcon. «Abbiamo perlustrato l’auto e abbiamo trovato la saliva all’interno, ma era questa una prova bastevole? Di certo no, perché è anche vero che in un’auto utilizzata da entrambi, anche un raffreddore poteva causare il ritrovamento di saliva, nonostante la concentrazione fosse sospetta». Prosegue: «Poi è stato ritrovato il cadavere, ed è stato effettivamente un caso incredibile. Il corpo si trovava a Cogollo del Cengio, in un sito funzionale alla casa di montagna della coppia, vicino ad un casello autostradale. Ed ecco la lampadina di Walt Disney che si è accesa. Se l’omicida avesse avuto il telepass saremmo stati fregati, ma non è stato così. Per fortuna il casello in questione, di Piovene Rocchette, non è quello di Roma, i passaggi non sono così tanti, così come i tagliandi, soprattutto a quell’ora della notte. Dekleva aveva lasciato l’impronta digitale nel bussolotto (una volta visionati tutti i tagliandi conservati dalla società autostradale è stato trovato quello incriminato, ndr). Dunque c’erano le circostanze di tempo e di luogo che si collegavano all’alibi». La saliva, le impronte, il cadavere, il segnale del cellulare, tasselli di un puzzle che ha preso forma.

«Questa indagine è stata davvero un successo», ribadisce. L’appello ribalterà qualcosa? «Dovrei credere di no».

Cataldi era a Mestre, al seminario di studi dal titolo “Lo spettacolo del crimine. Quando l’informazione diventa vittimizzante”, organizzato in occasione dell’avvio del Corso di Laurea in Psicologia Investigativa dello Iusve (Istituto Universitario Salesiano). Tra i temi toccati dal generale, quello della violenza verso le donne. «È improprio allo stato attuale, parlare di un fenomeno di recrudescenza del femminicidio», ha detto, «semmai le donne e i minori sono la parte più debole e quindi più facilmente vulnerabile».

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