Il Carnevale e la “dolce” diatriba veneziana sulla nascita del mammalucco

VENEZIA. Una disfida combattuta a suon di scorzette d’arancio e uva passa. Le ricette custodite gelosamente come tattica affinata negli anni per avere la meglio sul diretto concorrente. E poi un po’ di sana rivalità in quel terreno di battaglia che è il palato di veneziani e turisti durante il Carnevale.
Sta tutta qui la diatriba che ruota intorno al “mammalucco”, il dolce dal nome arabeggiante (ma dal significato tutto italiano, come vedremo) più strano e originale che ci sia in questo periodo dell’anno. Una valida alternativa a sua maestà frittella, prelibatezza carnevalesca tutta veneziana. Conteso però - tra il serio e il giocoso - da due pasticcerie: Targa, in Ruga Rialto, e Bonifacio, in calle degli Albanesi. Dove nasce il mammalucco? Tradizioni e gelosie, eccoli gli ingredienti del giallo. Un passo indietro.
Il mammalucco è un dolce fritto, della forma di un cannolo, lievitato con uvetta e cubetti di arancio. Sembra di mangiare crema, ma così non è. Il padre di questo dolcetto prelibato (provare per credere) è Sergio Lotto, pasticcere muranese oggi 87enne.
Chi l’ha visto all’opera lo ricorda come un lavoratore instancabile, appartenente alla vecchia scuola, la stessa di Marchini, del “nono” Colussi. Inizia la sua attività con un laboratorio a Murano, finisce sott’acqua nel 1966. Da lì gira per le pasticcerie più conosciute di Venezia: Bonifacio, Franceschini, Garbisa, Targa.
C’è chi ancora conserva una sua foto mentre è al lavoro con una torta della bellezza di 150 chili per il compleanno di Roger Moore, in quei giorni di fine anni ’70 a Venezia per le riprese di 007. Da quella torta uscì una bellissima ragazza venezia per fare gli auguri a Roger.
È in quegli anni che compaiono i mitici mammalucchi, affacciandosi sulla scena dolciaria veneziana. Fino a questo punto, è storia. Da qui in avanti, invece, le versioni tra le due contendenti cambiano. Da Targa, a Rialto, i fratelli Rizzetto assicurano di aver continuato la produzione di mammalucchi in grande quantità fin dagli anni ’90.
«Custodiamo la ricetta scritta a mano di questo dolce non brevettato», spiega Marco Rizzetto che lo scorso weekend ha aperto la sua pasticceria a una troupe statunitense arrivata apposta per un servizio sul Carnevale, «in questo periodo dell’anno ogni giorno ne produciamo in grande quantità, e vanno sempre esauriti. Destando sempre grande curiosità. Poi abbiamo scoperto che li fanno anche altrove».
Da Bonifacio, appunto. Dove però il racconto è diverso: «Anche noi ne conserviamo da sempre gelosamente la ricetta», le parole del titolare, Michele Bortoluzzi, «spesso le trame si intrecciano e i protagonisti cambiano, ma a noi interessa solo che la tradizione sia tramandata e se la tradizione del mammalucco diventa poi anche quella di altri, diverrà allora tradizione diffusa e questo a noi non può che far piacere». Uno pari e palla al centro, dunque? L’unico a poter chiarire come stanno le cose è il diretto interessato, l’inventore del mammalucco.
E infatti Sergio Lotto, il pasticcere, risponde togliendosi qualche sassolino dalle scarpe. E spiegando una volta per tutte anche l’originalità dietro a quel nome che richiama i soldati turchi del 13esimo secolo. E che in italiano e in dialetto sta a significare una persona sciocca, goffa, “indietro di comprendonio”.
Insomma, indietro come lo è la lievitazione del dolcetto conteso. Già, eccolo un altro mito sfatato: dietro al mammalucco non c’è una ricetta venuta male, come invece si racconta; così come non c’è l’esclamazione «che mammalucco!» rivolta al pasticcere di turno per aver sbagliato l’impasto. Tutt’altro.
«Se nasce per sbaglio? Macché», taglia corto Sergio Lotto, che risponde al telefono dalla sua casa di Murano mentre sta impastando i suoi bussolà forti, altra specialità. «Ho continuato a fare delle prove senza la lievitazione dell’impasto fino a quando ho avuto successo. Ho iniziato a fare i mammalucchi da Bonifacio, negli anni ’70» continua «Poi ho lasciato la ricetta anche a Targa. Entrambi continuano a farli, ma io ho lasciato scritta solo la ricetta base: poi aggiungevo il mio tocco, che non ho rivelato a nessuno. Perché ho scelto questo nome? Il mammalucco in dialetto è un tipo un po’ strambo, insomma “indrio”. Come l’impasto che ho realizzato nel mio laboratorio».
Unico e inimitabile, ancora oggi. E allora poco cambia che a realizzarlo per prima sia stata l’una o l’altra pasticceria. Il mammalucco c’è e resiste. —
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