Il bilancio della vendemmia Venezia terza nel Veneto

Positivi i dati di Confagricoltura nonostante i timori per la siccità e le gelate Il presidente Rocca: «Serve mano d’opera qualificata, i giovani sono pochi» 
LAZZARINI FGAVAGNIN VENETO ORIENTALE LA VENDEMMIA FATTA A MANO
LAZZARINI FGAVAGNIN VENETO ORIENTALE LA VENDEMMIA FATTA A MANO

MESTRE. Sono positivi i dati della vendemmia 2017 nella provincia di Venezia forniti a Mestre dalla Confagricoltura veneziana, rielaborati sui documenti presentati dalla Regione l’11 gennaio scorso. «Nonostante le previsioni negative dovute alla siccità e alle gelate primaverili che invece hanno penalizzato fortemente province come Verona, la produzione di uva nella nostra provincia ha subito solo il calo dell’1,95%», spiega Giulio Rocca, presidente di Confagricoltura Venezia che ha presentato un dossier particolareggiato dove il Veneziano, con 8.703 ettari coltivati a vite, si colloca terzo alle spalle di Treviso con 38.625 ettari e Verona con i suoi 28.887.

Un risultato non da poco, visto che il Veneto rimane la regione italiana che più esporta vini (2 miliardi di euro/anno di cui 500 milioni appartengono a Venezia) con il prosecco che fa, ovviamente, la parte del leone. Venezia risulta invece quinta per numero di imprese vitivinicole, che sono 2526. Nel veneziano la vendemmia ha prodotto un milione di quintali di uva sugli undici di tutto il Veneto, di cui 75% a bacca bianca e il resto a bacca rossa.

Sono 2.526 gli ettari coltivati nella varietà Glera (prosecco) e 2.676 nella varietà Pinot grigio, con un incremento della superficie vitata dal 2015-2016 rispettivamente del 14,27% e 8,30%. Aumentati del 4,44% anche gli ettari destinati allo Chardonnay mentre sono diminuite le coltivazioni della varietà Merlot (-4,85%) e Cabernet Franc (-6%). Sono aumentati i nuovi impianti, 2.383 ettari, il triplo rispetto al 2015, che avranno una produzione a regime fra tre anni.

Venezia risulta anche terza per la produzione di uve biologiche con 41 aziende che producono quasi 130.000 quintali di uve su 650 ettari coltivati. Attenzione è riservata anche ai vini di nicchia, come il Lison (una volta Tocai), il Malanotte (Raboso), l’Incrocio Manzoni e il Refosco.

«Un grande impegno quello delle uve biologiche, dove c’è bisogno di tanta attenzione nella coltivazione, di cui poche aziende sono capaci», spiega il presidente Rocca che mette in tavola anche i problemi che attanagliano la categoria, «la burocrazia in primis, che impegna tanto tempo e ammazza la voglia di fare. Poi il problema del personale: ne abbiamo tanto bisogno, ma di specializzato. Il lavoro in campagna non si improvvisa e non è semplice perché la tecnica deve essere sostenuta dalla passione. Ci sono squadre di extra-comunitari che si propongono per lavorare nei vigneti, ma non riescono a fare bene un lavoro per il quale poi dobbiamo chiamare a svolgere dei nostri pensionati. E poi c’è il problema del passaggio generazionale: i proprietari delle nostre imprese hanno in media 60 anni e pochi sono i giovani che vogliono subentrare ai padri».

Il perché viene spiegato da Roberto Ciani Bassetti, giovane responsabile della sezione viti-vinicoltura di Confagricoltura Venezia. «I ragazzi lavorano se messi alle macchine ma quando si tratta di lavori manuali, come la zappatura, mollano tutto perché non reggono la fatica rispetto alle generazioni più vecchie, nate lavorando». Tirando le somme, tra le varie cose, manca l’amore per la terra: è la base di tutto ma questo non rientra nelle statistiche.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia