I turisti spendono un miliardo in cultura

Venezia è terza per spesa dopo Roma e Milano. In provincia il 9,3 per cento delle imprese è attivo su questo mercato
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 22.08.2016.- Turismo, Bivacco, degrado, etc. Piazza San Marco. Ponte della paglia.
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 22.08.2016.- Turismo, Bivacco, degrado, etc. Piazza San Marco. Ponte della paglia.

Un miliardo e 178 milioni di euro: tanto hanno speso - meglio, investito - in cultura e creatività i turisti che hanno visitato Venezia nel 2016, portandola al terzo posto in Italia dopo Roma (3 miliardi) e Milano (1,4 miliardi di euro), nella graduatoria della “Spesa turistica attivata dal sistema produttivo culturale e creativo”, a livello provinciale. Non solo, dunque, la cultura fa bene allo spirito, dà identità a una società e a un territorio, ma con cultura e creatività si può anche “mangiare”, generando economia, lavoro e turismo “buono”. A raccontarlo è “Io sono cultura - 2017. L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, corposo studio elaborato dalla Fondazione per le qualità Italiane Symbola e da Unioncamere, che hanno sondato e pesato il variegato mondo delle imprese che fanno cultura e creatività, dalla gestione del patrimonio artistico alla realizzazione di videogames, dal teatro al cinema, dalla musica all’architettura, al design, alla comunicazione. Non solo mostre, dunque. E non solo un’offerta per il turismo.

Le imprese creative. In provincia di Venezia si occupano a vario titolo di cultura il 5,3 per cento delle imprese, facendo in questo caso scivolare la realtà metropolitana all’undicesimo posto in Italia, lontanissima dall’8,7 per cento di Milano, dal 7,3 per cento di Roma, ma anche dal 5,9 di Monza-Brianza, Como, Lecco. A queste, si aggiungono un 2,4 per cento di imprese che in provincia si occupano di creatività. Complessivamente, dunque, la voce cultura-creatività coinvolge il 9,3 delle imprese veneziane.

Il “caso” Museo Ebraico. Nello studio di Unioncamere e Symbola, un focus lo merita il proficuo rapporto instaurato in 27 anni tra CoopCulture e la Comunità ebraica che - osservano i relatori - «ha reso il Museo Ebraico di Venezia un luogo di cultura in continuo fermento e capace di generare un impatto costante e continuo sulle comunità». Il Ghetto e il suo Museo sono diventati polo di attrazione, stimolando l’avvio di nuove attività: quattro ristoranti, un antico panificio che sforna dolci della tradizione ebraica, una locanda che offre la colazione kasher e i timer per lo Shabbat. La Comunità ha aperto 1 residenza kasher proprio in Campo di Ghetto Novo. Sono state inaugurate diverse gallerie d’arte che costellano il ghetto, è stato restaurato e aperto al pubblico uno degli antichi banchi di pegno». C’è anche uno stazio di gondole. Vari anche gli strumenti di promozione: l’uso dei social per pubblicizzare il museo, la presentazione di percorsi di visita acquistabili online, una app (realizzata in collaborazione con lo Iuav) in grado di geolocalizzare su mappe storiche i luoghi veneziani legati alla cultura ebraica. Dall’inizio della relazione tra CoopCulture e Comunità ebraica, il numero degli utenti è quasi triplicato, passando da 38 a quasi 90 mila. Poi sono nate le collaborazioni con le altre comunità ebraiche in Italia. «Il museo», si sottolinea, «è un luogo di aggregazione potente: artisti, giornalisti, scrittori vi giungono per proporre attività quali workshop, presentazioni, incontri e piccole esibizioni».

Il turismo “buono”. «Il riscontro di pubblico dei musei si lega alla generale crescita dei flussi di turismo culturale, trainato soprattutto dal ruolo catalizzatore delle grandi città d’arte: Roma, Milano, Venezia, Firenze, Torino hanno attirato da sole negli ultimi anni una media di circa 60 milioni di turisti», si legge nello studio. La cultura genera turismo che genera impresa culturale: «Così succede che, a Venezia, non ci siano “soltanto” colossi come François Pinault e Bernard Arnault, l’uno con la doppia sede espositiva di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, l’altro con un’offerta più legata al mercato del lusso tramite l’Espace Louis Vuitton e il roof del T Fondaco dei Tedeschi. Succede che in Laguna aprano anche figure internazionali come Victoria Miro, Alberta Pane, Alma Zevi», riconvertendo in gallerie spazi abbandonati.

E se i turisti sono troppi? Si può imparare da Amsterdam a coniugare impresa creativa e controllo dei flussi, suggeriscono nell’introduzione Ermete Realacci (presidente di Symbola) e Ivan Lo Bello (presidente Unioncamere), perché - sottolineano - «mentre città come Venezia cominciano a pensare di contare i turisti per evitare la congestione tipica dei beni di club, Amsterdam sembra aver capito meglio di tutti la sharing economy. Qui, il governo locale ha incentivato la creazione di piattaforme che propongono le esperienze di condivisione più disparate, di fatto traducendo in chiave tecno-contemporanea usanze antiche: l’app FlyParkRent permette di usare auto lasciate dai vacanzieri all’aeroporto di Schiphol; Djeepo offre spazio disponibile per oggetti da depositare quando non si ha più spazio in cantina».
 

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