I titolari: «Vogliamo riaprire al più presto»

JESOLO. Il giorno dopo il rogo al camping, Renato Martignago e la moglie, titolari del campeggio, non fanno altro che rispondere al telefono, parlare con i vigili del fuoco, consegnare atti e documenti relativi alla struttura ricettiva aperta dal 2008 e cresciuta fino a ospitare circa 360 persone, così il Bosco Pineta fino alla notte tra domenica e lunedì, e altre 500 circa il dirimpettaio Don Bosco.
Avevano iniziato con i camper, una vasta area parcheggio attrezzata dopo piazza Torino, poi si sono ingranditi, sono arrivate tende e roulotte, casette mobili in legno, una attaccata all’altra. Le stesse che hanno preso fuoco l’altra notte.
Adesso i nodi stanno arrivando al pettine e le indagini dei pompieri hanno già accertato la precarietà delle misure di sicurezza per questo camping “ibrido” che era diventato un malandato e variopinto villaggio turistico per trevigiani e veneziani soprattutto, che avevano un punto di appoggio a buon prezzo sul litorale, anche un quinto di quello che avrebbero pagato in altri camping del litorale. Pagavano cifre modeste e senza fare tante domande. Ma poi è precipitato tutto.
«Stiamo lavorando ora per ora», spiegano i titolari, «per cercare di aiutare il più possibile i nostri ospiti, rispettare le prescrizioni che ci sono state indicate sulle misure di sicurezza. La prima cosa è stata assistere gli ospiti cui abbiamo trovato, per una consistente parte, posto al campeggio Don Bosco. Per gli altri stiamo cercando delle soluzioni nella zona. Contemporaneamente», concludono amareggiati, «stiamo cercando di procedere con la massima velocità per sistemare ciò che non andava e poi riaprire la struttura al più presto».
Per loro le cose si complicano in maniera molto seria , tra indagini, assicurazioni, richieste di risarcimento. (g.ca.)
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