I soldi venivano trasferiti in Nigeria usando un negozio come una banca
MESTRE. Il negozio di prodotti per parrucchieri sequestrato dalla Squadra Mobile, in via Monte San Michele, grazie all’inchiesta che ha portato all’arresto dei “mercanti di morte” nell’indagine San Michele, era una sorta di banca dove gli spacciatori trovavano il denaro in prestito per acquistare lo stupefacente da spacciare e dove versavano i soldi destinati al capo.
Ma il negozio era anche il punto dove portare il denaro da inviare in Nigeria con gli “spalloni”. Servizio offerto non solo agli appartenenti all’organizzazione smantellata martedì da Squadra mobile e Sco, ma pure ad altri gruppi di loro connazionali che spacciano in altre città del Nord.
Eduzolan Nosakhare Friday gestiva il negozio “Eduzola Nosakhare Friday”. Scrive il Gip nell’ordinanza: «Eduzola, indicato in tutte le conversazioni con il soprannome Nosa compare nell'indagine sin dalle prime battute. Eduzola conserva nel proprio locale un registro nel quale quotidianamente annota, sia in entrata che in uscita, gli importi delle operazioni economiche illecite svolte».
Qui vengono portati i soldi che poi lui consegna a degli “spalloni” che successivamente partendo dal Marco Polo li trasferiscono in Nigeria. Gli inquirenti durante l’anno di indagine raccolgono le prove di dieci “transiti” di denaro, Di questi uno sfiora i 300mila euro, uno è da 250mila euro e gli altri variano tra i 5mila e i 23mila euro. Di commissione per il servizio “Nosa” si trattiene dal 6 al 7 per cento. In due casi gli spalloni vengono arrestati.
«Intendiamo così sostenere direttamente l’azione della magistratura e della polizia, a cui va la nostra gratitudine profonda, che hanno finalmente dato un colpo decisivo alla banda di mercanti di morte che in questi anni ha tragicamente segnato la nostra città», spiega Gianfranco Bettin, presidente della Municipalità di Marghera, «Come risulta dagli atti alla base della straordinaria operazione di polizia, questi criminali erano molto attivi anche a Marghera (stabilmente, sul versante di Marghera della stazione, tra via Ulloa, l’ex scuola Monteverdi, in piazzale Giovannacci e dintorni), avevano un centro in cui riunivano la “cupola” e gli affiliati più attivi (la cosiddetta “chiesa” in via Galvani, dove c’è anche il “covo” dell’ex Cral Montedison), hanno provocato guasti, overdose e almeno tre vittime, oltre ad aver seminato paura e disagio.
Abbiamo sempre denunciato puntualmente e precisamente questa situazione e intendiamo ora proseguire la nostra lotta anche in tribunale. Chiediamo che anche il Comune di Venezia si costituisca parte civile contro la banda, potremmo farlo insieme. Chiediamo inoltre che il Comune potenzi la rete di operatori e servizi che, insieme alla società civile attiva, è il miglior argine preventivo e di contrasto allo spaccio e alle dipendenze, come ha ricordato lo stesso Procuratore capo Bruno Cherchi. Chiediamo infine che il Comune costringa le proprietà dell’ex Monteverdi e dell’ex Cral Montedison a mettere in sicurezza gli stabili impedendo che tornino ad essere covi dei mercanti di morte». —
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