I ragazzi del “Volterra” sotto choc per Enrico
Una scuola e due comunità sconvolte per la morte del 18enne Enrico Gaggion, che si è tolto la vita nella sua casa di Levada, frazione di Ponte di Piave. Martedì mattina lo hanno trovato ormai senza vita i genitori, quando lo hanno svegliato per andare a scuola. Hanno telefonato più tardi all’Itis Volterra di San Donà per dire con la voce rotta dalla commozione che loro figlio non sarebbe arrivato mai più in classe.
Enrico, che gli amici chiamavano “Gaggio”, frequentava l'Itis Volterra e viveva la sua vita di ragazzo nel fiore degli anni tra Ponte di Piave, dove abitava, e la vicina San Donà. La sua tragica morte ha devastato i compagni di classe della V I dell’istituto, che si trova nella cittadella scolastica di San Donà, e i tanti amici di Enrico distribuiti tra Ponte di Piave e San Donà. La preside, Teresa Gobbi, ha chiesto l’intervento di una psicologa in classe per aiutare i ragazzi a elaborare il dolore e il lutto per la morte di un giovane che viveva con loro tutti i giorni, studiava, scherzava, rideva.
Saranno tutti ai funerali, domani nella chiesa parrocchiale di Ponte di Piave alle 15.30, con la sua classe, gli alunni della scuola, i docenti e la preside. «Enrico era un ottimo studente», ricorda la professoressa Gobbi affranta, «ormai arrivato all’ultimo anno e senza mai essere bocciato. Era pieno di energia, preparato. Siamo profondamente colpiti dalla sua morte che ci lascia attoniti, nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Ho voluto che una psicologa parlasse con i compagni di classe, io stessa sono rimasta con loro per cercare di comprendere e superare un momento difficile per tutti noi. Ho detto agli studenti che devono imparare a compiere un’azione introspettiva», aggiunge la dirigente, «parlare dei loro problemi con i compagni di classe, gli amici, i docenti, oltre che con la famiglia naturalmente. Oggi la vita e la società ci impongono quasi di esternare solo la forza, il coraggio, la positività a tutti i costi, e invece bisogna anche imparare a mostrare le proprie debolezze, saper chiedere aiuto se necessario. Io vorrei che da questa esperienza così devastante, i ragazzi imparassero a crescere in questa comunità che è la scuola, spaccato di vita dove purtroppo può accadere anche di perdere un compagno di classe, un amico».
«Ora», aggiunge, «pensiamo solo a essere vicini alla famiglia che vive il dolore più grande, la perdita di un figlio. Abbiamo parlato con i suoi genitori che hanno apprezzato la nostra vicinanza e purtroppo è solo questo che possiamo fare per superare un momento davvero tragico».
Giovanni Cagnassi
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