I profughi giocano a cricket Tutte le storie di speranza
Il gioco come mezzo per l'integrazione, il cricket come sport per coinvolgere la cittadinanza. Su questi presupposti ieri mattina al parco Chiarin di Campalto si è svolta la prima giornata nazionale del cricket per profughi e rifugiati. Atmosfera di festa e condivisione per circa 150 giovani - per lo più afghani, bengalesi e pachistani - che condividono la passione per uno sport che in Italia non è ancora molto praticato, ma che in Asia come in Inghilterra è seguitissimo. A giocare c’era anche una star del cricket: Tahjamul Hussain, 35 anni, in Italia da settembre 2015, ex capitano della nazionale del Pakistan. Ed è stato proprio lui a trascinare la squadra della Caserma Serena al successo, battendo gli avversari dei centri di accoglienza di Venezia, Annone Veneto, Rovigo. La maggior parte dei partecipanti, tutti tra i 20 e i 30 anni, sono profughi e rifugiati richiedenti asilo, in attesa di ricevere il loro permesso di soggiorno, e di poter quindi iniziare a costruirsi un futuro. La maggior parte di queste persone sono arrivate in Italia da sole, e vivono nella speranza di poter avviare presto il ricongiungimento familiare, dato che molti di loro hanno lasciato in patria la moglie ed alcuni anche dei figli molto piccoli.
Tra i ragazzi che partecipavano al torneo, solo alcuni parlano già l'italiano: nei centri di accoglienza stanno frequentando corsi di lingua e d’informazione normativa, ovvero procedure e documentazioni necessarie per poter vivere e lavorare nel nostro Paese.
«I nostri ragazzi hanno in mano un permesso temporaneo, che viene rinnovato circa ogni due mesi finché non ricevono lo status di rifugiati politici» racconta Marco Merciai, uno dei responsabili del centro “Caserma Serena”, fra Treviso e Dosson, dove oggi sono ospitati più di 400 profughi in attesa del permesso di soggiorno «Nel frattempo fanno corsi professionali di falegnameria, elettricista, parrucchiere, cucito e scuola di italiano, in modo da potersi preparare al futuro in maniera adeguata. E ovviamente praticano molto sport, un'attività che li aiuta ad integrarsi fra loro e nella comunità locale».
Dalla Caserma Serena ieri c’erano diversi ragazzi: tra loro, appunto, il fuoriclasse Tahjamul Hussain. Nel suo paese è conosciutissimo, una lunga carriera alle spalle. Mostra orgoglioso un video sul suo telefonino mentre gioca in uno spazio enorme tra palme e montagne, davanti al tifo di centinaia di persone. Oggi sta aspettando di ottenere lo status di rifugiato per poter iniziare a lavorare in Italia, come Najibullaha e Zakria, due ragazzi di 26 e 22 anni: sono partiti dall'Afghanistan a piedi, e sono arrivati in Italia in un mese, passando per Iran, Turchia e Serbia. Si sono conosciuti durante il loro duro viaggio, sono diventati molto amici ed ora sono ospitati insieme presso il centro accoglienza di Rovigo gestito dalla Cooperativa “Porto Alegre”. Najibullaha, ha lasciato in Afghanistan una moglie di 25 anni e due bambini di 6 e 8 anni, e spera di poterli far venire in Italia il prima possibile. Nei loro occhi si legge la sofferenza e la preoccupazione di non riuscire ad ottenere i documenti necessari alla permanenza in Italia, ma oggi in qualche modo riescono tutti a concedersi un momento di gioco, l'allegria del tifo, la gioia di una vittoria, l'emozione di un lungo torneo.
Paola Filippini
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