I misteri dietro al pentimento del boss “Faccia d’angelo”

Quando il giudice Savina Caruso ha letto l’ennesima sentenza di condanna, questa volta “solo”a 5 anni, Paolo Pattarello (in foto) si è alzato nel silenzio dell’aula bunker di Mestre. Era l’1 dicembre dello scorso anno. Lui, che non aveva mosso un muscolo con la condanna a 30 anni per l’omicidio dei fratelli Rizzi, non ha nemmeno alzato il sopracciglio con i 5 anni per le rapine all’Hotel Excelsior del Lido e alla Pinacoteca di Modena. Il capobanda dei “mestrini” alleati e spesso braccio armato della mafia del Brenta, si è alzato e ha ripetuto quello che tutti pensano.
«È uno scandalo che nessuno di noi sia stato imputato per l'assassinio di Cristina Pavesi. Ci hanno contestato la rapina e io non sono mai stato condannato per quel assassinio. Lo hanno fatto per aiutare Giulio Maniero (cugino di Felice). Continuo ad avere un grande rimorso per la morte di quella ragazza».
L’omicidio della studentessa di Conegliano non ha un colpevole. Pattarello, già a ottobre 2014, aveva spiegato ai giudici come quel “buco nero” della giustizia italiana era stato imposto da Felice Maniero allo Statodurante la latitanza dopo l’incredibile fuga dal carcere di Padova il 14 giugno 1994. Per poter rientrare tra i pentiti e godere del programma di protezione Maniero doveva ottenere di cancellare le ombre sulla sua fuga e la sua responsabilità nell’omicidio Pavesi. “Feli” ha ottenuto le assicurazioni richieste?
L’8 novembre del 1994 vengono uccisi, sotto gli occhi degli agenti che dovevano proteggerli, Giancarlo Ortes, l’unico uomo che poteva raccontare i particolari dell’evasione, con la fidanzata Naza Sabic. Il 12 novembre, appena 4 giorni dopo, Maniero viene tranquillamente arrestato a Torino. E di nuovo 4 giorni dopo, il 16 novembre, Maniero si pente alle 10.30 nel carcere di Cuneo. Il pentimento più veloce della storia. (u.d.)
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