I mattoni rossi del vecchio campanile di San Marco tra le conchiglie della spiaggia

VENEZIA. Il campanile di San Marco spunta tra conchiglie, alghe e rami secchi lungo la spiaggia del Lido. Fortunatamente, lo scioglimento dei ghiacciai e altri scenari apocalittici non c’entrano nulla. C’entra invece, questa sì, l’azione del mare, della corrente e dei venti che riportano a galla una pagina di storia cittadina tra le più note, simbolo di caduta e rinascita. E magari, a volerci vedere un tocco magico, c’entrano anche quei 1600 anni che la città di Venezia compirà proprio in questo 2021. Una storia millenaria che ha nel “Paron del casa”, l’ossequioso soprannome usato dai veneziani per il Campanile, uno dei massimi emblemi.
Le forti mareggiate dei giorni scorsi hanno fatto riemergere centinaia di mattoni al Lido, lungo il tratto di spiaggia compreso tra l’ex ospedale al Mare e la diga di San Nicolò. Incastrati nella sabbia o coperti da strati di detriti, il loro colore rosso balza immediatamente agli occhi.
E provoca un certo stupore: d’accordo (si fa per dire) bottiglie di plastica e altri detriti portati dalle onde, ma che ci fanno tanti mattoni rossi in quel tratto di mare? La risposta, come spiega Vittorio Baroni presidente del comitato “Lido Oro Benon”, sta nei libri di storia.
«Abbiamo già iniziato a svolgere alcuni studi storici - spiega - le forme irregolari, la diversità dei colori e le rotondità dovute all’usura del tempo portano a dedurre che potrebbero essere materiali originali del campanile di San Marco crollato il 14 luglio 1902». Gli indizi, in effetti, porterebbero tutti nella stessa direzione.
Nel libro “Il Campanile di San Marco riedificato”, pubblicato dal Comune nel 1912, l’archeologo Giacomo Boni traccia la storia dell’edificio, dalle prime fondamenta risalenti al IX secolo fino al crollo con i frammenti romani, bizantini e carolingi ritrovati tra le macerie. Nelle pagine, come ricostruito dal comitato lidense, si leggono le vicende del “Costanza”, il piroscafo incaricato di sversare i resti gloriosi del Campanile in mare. Più precisamente, “tra le dighe del porto di Lido fino a tre miglia in mare, dove uno scandaglio misurava quattordici metri”.
Insomma a largo della bocca di porto di San Nicolò e Punta Sabbioni. Ed è proprio lungo le due spiagge che non di rado – ora come nel passato – si può qua e là trovare qualche laterizio. Già perché se è vero che negli ultimi giorni sono stati centinaia i mattoni spinti a riva dal mare, gli avvistamenti erano già capitati in passato.
Su tutti, è il caso dello scultore Giorgio Bortoli che nel ’99 aveva realizzato l’opera “NycVe Torre di Luce” riutilizzando pezzi del Campanile scomparso. Ma vale la pena citare anche il recente romanzo di un altro lidense doc, il fotografo Alessandro Roiter Rigoni, che in “Come la luna porta all’alba” riporta i “pezzi di mattone seminascosti sulla sabbia”. E per far sì che quella pagina di storia veneziana, simbolo di crollo e rinascita, non vada persa, il comitato “Lido Oro Benon” ha scritto una lettera al Comune chiedendo che il Campanile sia inserito tra gli argomenti culturali da valorizzare in occasione di “Venezia 1600”. —
© RIPRODUZIONE RISERVATAi
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia