I lapsus di Danh Vo, memoria e cura dell’arte
VENEZIA. “Lapsus” artistici e artisti che se ne prendono cura. È l’estrema sintesi della mostra “Slip of the Tongue” (che significa appunto “lapsus, fraintendimento”) che aprirà al pubblico da domenica 12 negli spazi veneziani della Punta della Dogana della Fondazione Pinault.
Una mostra spiazzante - ieri il primo giorno di vernice - perché il suo curatore, con la critica Caroline Bourgeois, è proprio un artista celebrato come il vietnamita-danese Danh Vo, che ha scelto personalmente le opere che, accanto alle sue, vengono esposte in questa occasione. La logica dichiarata è quella del “prendersene cura” anche sotto l’aspetto materiale e ciò non vale solo per quelle storiche - come una “Testa del Redentore” di Giovanni Bellini proveniente dalle Gallerie dell’Accademia o i preziosi frammenti miniati di libri liturgici tra il XIII e il XV secolo che arrivano dalla Fondazione Cini, scelti per l’esposizione - ma anche, appunto, per quelle contemporanee che Danh Vo ha voluto alla Punta della Dogana, tra cui anche quelle di artisti storici scomparsi come Picasso, Piero Manzoni, Francesco Lo Savio, Costantin Brancusi, Auguste Rodin.
Tra i contemporanei, invece, Marcel Broodthaers, Luciano Fabro, Fischli&Weiss, Felix Gonzalez-Torres, Roni Horn, Peter Hujar, Lee Lozano, Robert Manson, Henrik Olesen, Sigmar Polke, Carol Rama, Charles Ray, Andres Serrano, Nancy Spero, Sturtevant.
Difficile trovare, ma anche solo cercare in questa mostra un filo conduttore (e le didascalie delle opere, criptiche e altrettanto spiazzanti, non aiutano), che probabilmente è chiaro, invece, ai suoi autori, in una sorta di minimalismo espositivo certamente voluto.
Il confronto, in fondo, è sempre, indirettamente, tra le opere di Dan Voh - che questo artista così attento alla memoria ma anche alla fragilità stessa dell’opera d’arte, ha scelto di esporre - e quelle che invece ci propone da curatore (forse da “guaritore”, come dice Achille Bonito Oliva ironicamente di sé e del proprio ruolo critico nelle mostre). E le sue sono ovviamente scelte personali, tanto che il titolo della mostra, “Slip of the Tongue” è anche quello dell’opera di un’artista a lui vicina, Nairy Baghramian, che ci accoglie in una delle prime sale, accanto alla testa del Redentore di Bellini, quasi nascosta per non «disturbare» con la sua qualità incombente. E così è anche per le preziose miniature della Cini, che sono parte della mostra, ma insieme altro da essa. Per «risarcire» le Gallerie dell’accademia delle opere momentaneamente sottratte, Danh Vo esporrà al loro posto nel museo il suo “Self-Portrait (Peter)”, opera del 2005 che consiste nella lettera scritta all’allora giovane studente vietnamita dell’Accademia Reale della Danimarca da un suo insegnante - il pittore danese Peter Bonde - che gli consigliava di rinunciare alla pittura.
Grande protagonista della mostra della Punta della Dogana, intanto - per una scelta curatoriale ben precisa - è l’artista statunitense Nancy Spero che occupa con le sue installazioni visive due grandi sale della Punta della Dogana. Nella più grande compare il suo Codex Artaud, trentaquattro fragili rotoli composti di strisce di carta - che richiamano nella forma e nello stile i papiri egizi - con una serie di personalissimi «geroglifici», che si rifanno al furore e alla disperazione che animarono il grande scrittore e uomo di teatro francese.
In Cri du oeur Spero ci parla a suo modo del dolore intimo di un lutto familiare, ricorrendo, ancora una volta, a famosi e ieratici geroglifici egizi, qui riprodotti e rielaborati a suo modo dall’artista. Ma resta fortemente impressa, nella mostra, anche la magnifica sala al nero in cui Vo dialoga, tra le altre, con opere di Sturtevant e Fischli & Weiss.
Danh Vo mescola contenuti e artisti, giustapponendo volutamente opere diverse per epoche e per soggetto che regalano sempre nuove possibili prospettive e letture. La risultante è una mostra certamente insolita - la prima alla Punta della Dogana affidata, anche per la curatela a un artista - che non cede a nessuna suggestione «decorativa», ma offre al visitatore solo le opere, “nude”, così come lui le ha scelte e concepite. Se tutto ciò basterà a farne anche una mostra di successo dal punto di vista della risposta del pubblico, lo diranno solo i prossimi mesi. Danh Vo sarà intanto anche sicuro protagonista dell’ormai imminente Biennale Arti Visive, come artista scelto a rappresentare il suo Paese d’adozione, la Danimarca.
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