I corsari della Mare Jonio «Tra onde e telefonate per salvare 70 migranti»
MESTRE. «È stata una lunga notte, la più lunga e faticosa, con sensazioni altalenanti, prima fra tutte la responsabilità di 70 vite in mezzo al mare». Beppe Caccia racconta con Luca Casarini, ex leader dei centri sociali del Nordest, dalla “Mare Jonio”, il rimorchiatore della Ong “Mediterranea” in navigazione nel Mediterraneo centrale, la difficile notte tra venerdì e sabato, conclusasi alle 4 del mattino con il salvataggio di un natante in avaria, con 70 migranti a bordo presi in consegna dalla Guardia costiera italiana a 5 miglia da Lampedusa.
Dopo ore di rimpalli «e continui scaricabarile tra le autorità italiane e maltesi», denunciano i due. «Nella notte tra venerdì e sabato Mare Jonio ha effettivamente partecipato alla prima missione. Malta radio alle 19 ha diffuso un messaggio Naftex: segnalava la presenza di una imbarcazione con a bordo 70 persone che si muoveva tra acque tunisine, maltesi e verso quelle italiane. Abbiamo preso contatto con Alarmphone, punto di riferimento per donne e uomini migranti ma loro ci hanno detto di non aver informazioni precise», racconta Caccia via telefono satellitare. La Mare Jonio contatta il centro di coordinamento dei soccorsi Mrcc di Roma. «La posizione segnalata era in zona Sar (search and rescue) di competenza maltese e ci siamo rivolti così a La Valletta, con telefonate e via mail», prosegue Caccia, «ci è stato detto che un motopeschereccio tunisino stava accompagnando la barca in avaria per un tratto e che Malta non aveva a disposizione imbarcazioni di soccorso».
La Mare Jonio decide di raggiungere la barca in avaria, «a 40 miglia a Nord dalla nostra posizione». Quattro ore e mezza di navigazione. «Nel frattempo abbiamo iniziato a chiamare il centro coordinamento soccorsi di Roma. Grazie al deputato Erasmo Palazzotto abbiamo allertato l’ammiraglio Pettorino della Capitaneria di Porto e il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli attraverso il suo capo staff», dice Caccia. «È emersa chiaramente l’intenzione di lavarsene le mani, uno scaricabarile tra governo maltese ed italiano. Palazzotto ha chiamato allora il presidente della Camera, Fico. Intanto siamo arrivati a cinque miglia dal punto dove i maltesi ci avevano indicato la imbarcazione alla deriva».
La Mare Jonio per tre volte ha messo in acqua la rescue boat e i volontari con 100 salvagenti di sicurezza per cercare con il gommone la barca dispersa. «Nelle aree indicate non c’era e allora siamo andati verso Nord, pensando che i venti la spingessero verso Lampedusa mentre continuavano i contatti istituzionali e col comando per chiedere intervento delle motovedette italiane. A dieci miglia a sud di Lampedusa, è arrivato il messaggio che attendevamo con trepidazione: a meno di cinque miglia dal porto, una motovedetta ha intercettato e accompagnato il barcone a Lampedusa. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo», dicono Caccia e Casarini.
«Anche grazie al monitoraggio di Mare Jonio e alla pressione di Mediterranea, settanta vite sono salve: bambini, donne e uomini del Corno d’Africa, dell’Eritrea, Sud Sudan, scampati alle violenze libiche e che ora sono al sicuro in un porto italiano», dicono.
«Sono padre e davanti ai piccoli migranti affogati, per indifferenza e scelte criminali, ho pensato che potevano essere i miei due figli. Io non salvo vite, salvo me stesso da questa disumanità imperante», ci dice Luca Casarini spiegando la scelta di questa nuova avventura. «Mi salvo dalla assuefazione dell'orrore. L’indignazione porta a sognare un mondo diverso, a cercare di convivere. Se voglio continuare a guardarmi allo specchio, non posso restare senza fare qualcosa. I migranti sono persone che si muovono, costrette a farlo, come in un esodo. All'esodo si risponde con i soldati del Faraone. Serve, quindi, qualcosa di grande, insito in piccoli gesti, da fare con umiltà. Credo che chi lavora tutti i giorni per far morire questa gente vive molto peggio di me». —
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