I cannoni ritrovati della Serenissima
VENEZIA. Erano diecimila. Sono 186, almeno quelli conosciuti. Sono i cannoni della Serenissima, sparsi per lo Stato da mar e per quello da tera. Importanti, per trecento anni, almeno quanto il dinamismo commerciale e l’accortezza politica dei veneziani. Abbandonati, requisiti, fusi, negletti e dimenticati dopo il 1797.
Possibile che non resti traccia dell’armamento che ha consentito a Venezia di esercitare un fluttuante ma costante e intenso predominio in tutta l’area mediterranea, per tacere del settentrione d’Italia? Doveva pensarci un archeologo marino, Carlo Beltrame, che lavora a Ca’ Foscari, dipartimento di Studi umanistici: fare la conta di quel che resta, e dov’è: per capire di più della potenza veneziana, della sua capacità tecnologica e militare.
Si pensi che a casa nostra, al Museo Navale di Venezia, i pezzi di artiglieria veneziana presenti sono diciassette. Uno è davanti all’Arsenale. E uno, in regalo, è andato a finire al monumento dei Marinai d’Italia di Schio. Ancora un esemplare al museo dell’artiglieria a Torino. Poi più nulla. Nel 1797 l’Arsenale custodiva «diverse migliaia di pezzi», in bronzo e ferro. Napoleone arriva e non ne lascia uno: fatti a pezzi, vengono venduti come metallo a un mercante genovese. Una doppia nemesi. In giro per il Mediterraneo, in quel preciso momento, ce n’erano altrettanti, quasi cinquemila. Sulla loro fine, mistero. E Carlo Beltrame s’è messo in caccia.
L’idea è diventata un progetto, finanziato dalla Regione. Finanziamento di 31 mila euro l’anno, per tre anni; da richiedere ogni volta. Il secondo anno sono già diventati 27 mila, ora si aspetta il finanziamento per il terzo anno, e ci vogliono tutti per pubblicare i risultati. Il brogliaccio-relazione c’è già, diventerà un libro. Lì dentro c’è la catalogazione di tutti i cannoni: mortai, petriere, colubrine, aspidi, moschetti che Venezia montava sulle sue navi e sistemava nella piazzeforti in giro per il Mediterraneo. Intanto sono 186: ottanta in Grecia e centosei in Turchia. E manca ancora la Croazia, prossima tappa di Beltrame. E del professor Marco Morin, che definire appassionato è poco. Morin mette anima e corpo in questa ricerca, convinto che non serva soltanto alla storia militare («Se guardiamo bene, da noi non ci sono storici militari») ma più in generale alla comprensione della storia della Serenissima e alla conoscenza dei suoi aspetti meno evidenti.
Questa dei cannoni era un’avventura tutta da inventare. Perché i cannoni stavano soprattutto sulle navi da guerra, le galee. E non esiste una galea che sia una, com’è noto. Se non c’è il relitto della nave, difficile trovare i cannoni. Si comincia con internet. Alla fine, funziona meglio di un sonar. Saltano fuori reperti in Grecia e naturalmente in Turchia. Ad Atene c’è un museo, ma è solo l’inizio: «Siamo andati a Cefalonia, Itaca, Corfù, Candia, Kitara, Chios. Nell’isola di Santa Maura abbiamo visto i cannoni nella fortezza abbandonata: inarrivabili, coperti dalla vegetazione che ha invaso tutto». A Nauplia li hanno salvati e li hanno piazzati per le strade come arredo urbano. «Sono ricoperti di scritte spray, e noi di notte a strofinarli con l’acetone - ricorda Morin - Per pulirli, innanzitutto, e per leggere scritte e fregi». Al museo di Iraklion, a Creta, trovati pezzi da brandeggio da galea, recuperati dalla nave. Tutti questi reperti non sono mai stati pubblicati: il che equivale, nel mondo universitario, ad una vera e propria scoperta.
A Corfù un incontro quasi emozionante. C’è Leone, un triestino che si è trasferito qui. È riuscito ad ottenere un laboratorio nella fortezza, e lì ricostruisce gli affusti dei vari tipi di cannone, dopo ricerche rigorose. Bravissimo falegname, bravissimo fabbro, li fa uguali: risplendono sotto le bocche da fuoco che sostengono. Tutto gratis, chiede solo le spese vive. Ma la sorpresa più grande si trova ad Istanbul, all’Askeri Musesi. il museo militare. Hanno i cannoni veneziani, assieme a molti altri, e lo sanno. Hanno cinquanta pezzi dentro al museo, offrono un’assistente ai ricercatori veneziani. Che dice: «Guardate anche là», ovvero fuori dal museo, lungo un viale esterno. Anche lì pezzi d’artiglieria, a centinaia. L’impero ottomano ha una storia lunga e battagliera. E lì, fra gli altri, ancora cinquanta cannoni veneziani: riconosciuti uno per uno da Beltrame e Morin, che a Istanbul sono rimasti quindici giorni. Questa volta, il bottino è stato loro.
La catalogazione c’è, manca solo la Croazia. Saranno da fuoco, ma queste bocche dicono molto della Serenissima.
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