I bengalesi: «Dateci una sala per poter pregare»
MESTRE. Oggi un incontro organizzato per spiegare alla comunità bengalese di fede musulmana come procede la vicenda della chiusura del centro di preghiera di via Fogazzaro. Martedì poi l’incontro con le altre comunità musulmane della città nel centro di via Monzani a Marghera, per trovare solidarietà. Sono giornate di impegno non da poco per Mohammed Alì, presidente del centro di via Fogazzaro e per il portavoce della comunità bengalese Kamrul Syed. Mercoledì l’incontro con il Comune.
Lo sciopero. «Abbiamo deciso di scioperare se non si trova una soluzione per la sede dove pregare - spiega Syed -. Almeno una soluzione provvisoria fino a quando non sarà individuata la sede definitiva. Noi stiamo facendo il possibile per mantenere la tranquillità tra i nostri connazionali. Ma se venerdì non ci sarà un posto la gente pregherà on un qualsiasi luogo e con tante persone è possibile che qualcuna non mantenga la calma». Uno sciopero che molti vedono come un ricatto alla città, anche perché delle irregolarità la gente era a conoscenza.
«Noi eravamo lì da sette anni. Ora che abbiamo finito di pagare il mutuo per l’acquisto ci dicono che non eravamo in regola. Perché ce lo hanno contestato solo ora e ci mandano via? Il centro è stato acquistato con i soldi di tutti. C’è chi ha messo dieci euro e chi cento. Tutti hanno diritti e doveri e anche noi abbiamo il diritto di pregare. Lo sciopero è fatto soprattutto per far capire quanto importante siamo noi per l’economia della città. Anche noi diamo alla città, non riceviamo solo. E non sempre è così, noi cerchiamo sempre di stare calmi e di non perdere la pazienza. Questa mattina (ieri, ndr) ad esempio, la polizia è venuta al centro di via Fogazzaro ed è entrata mentre stavano facendo scuola ai bambini. Davanti ai piccoli hanno chiesto i documenti a chi stava insegnando. Perché non hanno chiesto che uscisse? I bambini parlano tutti l’italiano e lo capiscono. Sono rimasti impressionati. Un po’ di delicatezza ci vuole davanti ai bambini».
La collaborazione. Continua Syed: «Noi abbiamo dato la massima collaborazione al Comune chiedendo in cambio un aiuto per individuare un luogo di preghiera. Non possiamo pregare per strada. Siamo disposti a trovare una soluzione anche per acquistare un altro centro o magari pagare l’affitto. Ma il Comune ci deve aiutare a individuare il luogo che non disturbi nessuno. Noi non pretendiamo un luogo in centro e non vogliamo disturbare gli altri cittadini».
Provocazione. «Scioperino pure. Non accettiamo ricatti né velate minacce. Le regole valgono per tutti, anche per la comunità islamica - replica alla minaccia di sciopero l’assessore Simone Venturini -. Io non mi occupo personalmente del centro di preghiera, ci sono due altri colleghi, parlo quale assessore alla coabitazione sociale. Ritengo che la minaccia sia da irresponsabili. Anche perché non è certo colpa dell’Amministrazione comunale se loro non si sono adeguati a quanto gli era stato prescritto in base alla legge. Respingiamo al mittente la minaccia. Anche loro devono riconoscere che non ci sono solo diritti, ma ci sono anche doveri».
Situazione che divide. Mohamed Amin Al Ahdab, presidente della comunità Islamica di Venezia e Provincia si dice preoccupato per una situazione che sembra dividere più che unire in un tentativo di dialogo: «Nessuno è al di sopra delle leggi, anche la religione non può essere superiore ma in un momento così delicato come quello attuale serviva una trattativa e un maggiore dialogo. Ribadisco che dobbiamo tutti ringraziare la polizia e le forze dell’ordine per il grandioso lavoro che ha permesso di sventare l’attentato a Venezia, ma serve anche che la città resti aperta al dialogo e alla prevenzione puntando sulla tolleranza. In certi momenti serve grande attenzione: occorre trovare una soluzione per garantire il diritto costituzionale dei musulmani di pregare in santa pace. Una moschea nel deserto, lontana chilometri? Sinagoghe e chiese sono in pieno centro città. Noi chiediamo un luogo dove pregare, non gratis. Possiamo anche mobilitarci per comprarlo. Ma occorre trovare una soluzione. Le moschee in Italia sono al massimo quattro (a Palermo, Milano, Roma, Ravenna) per un milione e 700 mila cittadini musulmani che vivono in Italia».
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