«Ho visto uscire il fumo ma ormai era troppo tardi»

Il racconto del figlio Cesare Mescalchin, il primo a dare l’allarme ai pompieri «Mia madre non aveva stufe elettriche, non capisco cosa possa essere successo»

DOLO. «Ho aperto il portone comune, c’era una luce che non si accendeva. Poi ho fatto le scale e ho visto il fumo che usciva da sotto la porta dell’appartamento. Sono entrato in casa, ho cercato di buttare un panno bagnato sulle fiamme, che erano tra il comodino e il letto dove dormiva mia mamma, ma non sono riuscito a spegnerle, non ce l’ho fatta, non riuscivo più a respirare e sono sceso giù, a chiamare i carabinieri, che sono arrivati subito, con i pompieri, anche se ormai purtroppo per mia madre era troppo tardi».

Cesare Mescalchin non capisce cosa possa essere accaduto nella notte, da dove possa essere partito il possibile corto circuito - ma saranno solo le perizie dei pompieri a confermarlo - che ha ucciso sua madre, distrutto l’appartamento e mandato in Rianimazione la vicina di casa. Le due anziane erano amiche, l’82enne andava spesso a trovare Adele Sabadin, costretta a rimanere a letto tutto il giorno, per farle compagnia, scambiare due chiacchiere.

«Mercoledì sera sono venuto via alle 8, prima di uscire le ho spento la televisione», racconta Mescalchin, «non aveva stufe elettriche, non usava coperte elettriche, non riesco a capire cosa sia successo. Quando sono arrivato, ho solo visto la stanza invasa dal fumo, ho cercato di fare qualcosa, ma il fumo era densissimo, non si riusciva a respirare». L’anziana era costretta a restare a letto dalla fine di marzo, quando era stata dimessa dall’ospedale di Noale, aveva subito la frattura del bacino, ma aveva tanta voglia di tornare a camminare per riconquistare l’autonomia, tornare a fare due passi, se non nel quartiere, almeno dentro casa. Il figlio Cesare andava a trovarla tutti i giorni, ma la donna era anche aiutata dal servizio di assistenza domiciliare del Comune. Adele era nata a Dolo il 22 ottobre del 1921. Sposata con Giovanni Mescalchin era poi rimasta vedova molto giovane, neppure cinquantenne.

Dopo aver vissuto per un periodo anche in Val Venosta (Bolzano) dove lavorò come sarta in un’azienda della zona, nel 1989 era tornata a vivere in Riviera del Brenta, a Dolo, con l’unico figlio. Lui abita a Cazzago di Pianiga, a pochi chilometri di distanza dall’appartamento di via Campo della Vida, tra il centro di Dolo e l’ospedale, dove andava tutti i giorni a trovarla. «Stavamo aspettando che ci chiamassero per le terapie alle gambe» racconta «sperava tanto di poter tornare a camminare».

Francesco Furlan

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