«Ho perso una gamba, la boxe resta la mia vita»

L’arbitro Roberto Camelia, 42 anni, ospite di Uguale Days al Parco Catene «Ho fondato una onlus per promuovere l’inclusione: il ring mi aiuta a farlo»

MARGHERA. Il suo nome è Roberto Camelia, ha 42 anni e viene da Siracusa. Lo abbiamo incontrato ieri agli Uguale Days, al Parco Catene, dove ha arbitrato alcuni incontri di boxe organizzati da Union Boxe Mestre, tra pugili dell’associazione, di alcune blasonate società di pugilato slovene e della Federazione di Boxe della Regione Veneto. Eppure lui non è un arbitro come tutti gli altri: a causa di un incidente stradale, infatti, a Roberto è stata amputata una gamba, sotto al ginocchio, ora sostituita da una protesi.

«Era il 2 febbraio del 2013», ci racconta Roberto. «Stavo guidando, quando mi sono accorto di un incidente stradale. Così mi sono fermato ma, nelle fasi di soccorso, sono stato travolto a mia volta da una macchina andata fuoristrada. Prima il coma, poi l’amputazione della gamba sinistra». Una situazione drammatica dalla quale, però, il ragazzo ha saputo rialzarsi: «Da giovane avevo praticato la boxe, passione che avevo ereditato da mio padre. Diventai arbitro nel 2010. Era una cosa a cui non volevo assolutamente rinunciare. È stata dura. Ho fatto una lunghissima riabilitazione. Poi però ho espresso il desiderio di ricominciare ad arbitrare ed eccomi qui. Sono un arbitro nazionale e posso arbitrare in tutte le categorie».

Da quest’esperienza nasce un libro, “Il ring e l’aquilone”, scritto a quattro mani con lo psicologo Luca Cianci, e il ricavato delle cui vendite sarà interamente utilizzato per sostenere le attività di “Sport & Mente onlus”, associazione fondata dallo stesso Camelia.

Ieri, dicevamo, gli incontri al Parco Catene. «Quando abbiamo invitato Roberto agli UgualeDays, lui ha accettato immediatamente. Pensavamo che fosse la persona perfetta per rappresentare i valori che cerchiamo di trasmettere con il nostro sport», ha spiegato Luciano Favaro, presidente di Union Boxe Boxe. A cui ha risposto Camelia: «Il modo migliore per promuovere l’inclusione è farla. Per questo con la mia onlus vado nelle scuole, per incontrare i ragazzi, e partecipo con entusiasmo a eventi di questo tipo». Da sottolineare, inoltre, che la boxe è uno dei pochissimi sport che non prevede una categoria paralimpica: «È necessario sensibilizzare la federazione nazionale, perché questa mancanza venga colmata al più presto», continua Favaro. «Non è possibile che in questo sport continui a regnare il “machismo”: le diversità sono preziose».

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