Ha ucciso la moglie Lucia Dekleva condannato a 20 anni

Lui si difende fino all’ultimo: «Da quando l’ho conosciuta non le ho usato violenza: mai, mai, mai» Alla madre, ai fratelli e ai nipoti della vittima il giudice assegna 386 mila euro di provvisionale
Di Roberta De Rossi
Interpress/Mazzega De Rossi Venezia, 12.04.2013.- Triubunale di Venezia, sentenza Dekleva.- Nella foto gli Avv. di Parte Civile Gabriela Giunzoni e Antonio Bondi.-
Interpress/Mazzega De Rossi Venezia, 12.04.2013.- Triubunale di Venezia, sentenza Dekleva.- Nella foto gli Avv. di Parte Civile Gabriela Giunzoni e Antonio Bondi.-

C’è una prima verità giudiziaria, che certo potrà essere impugnata in appello, ma che ora è nero su bianco: Renzo Dekleva ha ucciso la moglie Lucia Manca nel loro appartamento di Marcon, nel luglio di due anni fa. Poi ha messo il suo corpo in auto e lo ha trasportato fino a Cogollo del Cengio - sulla strada che portava alla loro casa a Falcade - abbandonandolo sotto il viadotto, dove venne trovato, ridotto a scheletro, ad ottobre 2011, nascosto da un cumulo di foglie e rami.

Se n’è convinta la giudice Marta Paccagnella che ieri ha condannato l’uomo - in carcere dal gennaio 2012 - a 20 anni e 6 mesi di reclusione: 18 anni per l’omicidio volontario della donna, due anni per la soppressione del suo cadavere e 6 mesi per la falsa denuncia di scomparsa. Accolta nella sostanza la tesi dell’accusa, con la sola eccezione dell’aggravante dei futili motivi (la causa economica del delitto) non riconosciuti dal giudice.

La pubblico ministero Francesca Crupi aveva chiesto la condanna all’ergastolo per Dekleva (vedi pezzo accanto), ma alla lettura della sentenza ha comunque tirato un sospiro di (soddisfatto) sollievo.

In aula, lacrime sul volto di fratelli, sorelle, nipoti di Lucia Manca, che hanno seguito il processo. Non un gesto, un segno di reazione, uno sguardo da parte di Renzo Dekleva, che pure aveva voluto dire la sua prima che la giudice si ritirasse in camera di consiglio, scusandosi per le intemperanze con le quali aveva accompagnato la requisitoria dell’accusa e per lo scatto d’ira verso l’avvocato di parte civile Bondi che l’aveva definito «assassino»: «In nessuna maniera sin dal 10 agosto 1974, giorno in cui ho conosciuto mia moglie, fino al 7 luglio 2011, io non ho mai toccato Lucia e non le ho mai usato violenza. Mai, mai e mai! Non ho mai usato violenza verso nessuno e sfido chiunque a dimostrare il contrario».

Parole che non hanno convinto la giudice Marta Paccagnella che - dopo 4 ore di camera di consiglio - ha letto la sua sentenza, riconoscendo anche alla madre, ai fratelli e nipoti di Lucia Manca 386 mila euro di provvisionale per il risarcimento danni, che dovranno però essere quantificati in sede civile.

«Si è trattato di una sentenza corretta ed equilibrata, che reggerà anche in appello, dove troppo spesso condanne all’ergastolo in primo grado vengono ridimensionate, lasciando nello sconcerto i familiari della vittima», hanno commentato gli avvocati di parte civile Antonio Bondi e Gabriella Giunzoni, «la famiglia si aspettava semmai una richiesta di scuse, soprattutto un’ammissione di responsabilità da Dekleva che purtroppo non è arrivata».

Silenzio, invece, da parte degli avvocati difensori Pietro Someda e Stefania De Danieli: «Non si commentano le sentenze prima di conoscere le motivazioni. Ricorso in appello? Vedremo dopo aver letto la sentenza». Ha quindi retto fino in fondo la fitta rete di prove indiziarie intessuta dai carabinieri della Compagnia e del Nucleo investigativo, coordinati dalla pm Crupi, pur a fronte di nessuna certezza sulle cause di morte, per l’impossibilità di desumerle dai poveri resti ritrovati: le bugie smascherate di Dekleva sui suoi rapporti con la moglie, che aveva scoperto il suo tradimento e lo voleva lasciare, e sui suoi movimenti nella notte del 6-7 luglio, smascherato poi dal tracciato del suo cellulare e dall’impronta sul biglietto autostradale rintracciato al casello di Piovene Rocchette.

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