Guariti dal male, ma ancora convalescenti Così funziona la riabilitazione post Covid

A Dolo apre il primo ambulatorio per la gestione del periodo di ritorno alla normalità dei pazienti che hanno contratto la malattia 
Antonio Gatto Mestre,52/11/2020 Foto A. Gilardi/Ag. Lorenzo Pòrcile
Antonio Gatto Mestre,52/11/2020 Foto A. Gilardi/Ag. Lorenzo Pòrcile

LA STORIA

«Ho le piaghe ai piedi, un paio di volte al giorno devo prendere fiato con l'ossigeno, ho ancora il buco per la tracheotomia e le ferite. Però sto bene, lo Stato deve ancora pagarmi qualche anno di pensione». Di 78 anni, Giacomo Celant è un esempio di forza e di ironia.

Risponde al telefono la moglie, che ogni tanto lo corregge nelle risposte. Lui si commuove nel ringraziare la sindaca di Scorzè, Nais Marcon, che nei mesi più bui chiamava a casa tutti i giorni; lei lo incalza: «Ringrazia anche il parroco, che ci portava la spesa quando eravamo in quarantena».

Da allora, la vita dei due è cambiata drasticamente. «Se sono tornato come prima? Sarebbe un miracolo. No, il recupero è lento, ma vado bene. Ho fatto 40 sedute di riabilitazione e ora sto facendo la terapia d’urto contro i dolori. All’inizio il piede destro non funzionava più e avevo il terrore di non poter tornare a guidare, ma ora si è ripreso. Ho perso un po’ di elasticità e mi affatico più facilmente. Un paio di volte al giorno devo riprendere fiato con la bombola di ossigeno. Dal giorno dopo in cui sono stato dimesso, una volta a settimana è venuto a casa mia un ragazzo, da Villa Salus, per medicarmi le ferite. Un tipo simpatico! Ora verrà ogni 15 giorni. Intanto continuo con la riabilitazione: all’inizio tutti i giorni, ora meno. Mi porta mia moglie in macchina. E poi lunedì farò un intervento per chiudere il foro della tracheotomia».

Come fosse ordinaria amministrazione. Un’ordinaria amministrazione lunga 78 giorni di ospedale, la maggior parte in terapia intensiva. «Ricordo l’ambulanza che mi porta in ospedale. E l’ambulanza successiva, che trasporta mio genero Federico. Ce l’abbiamo fatta. Il resto non conta».

Dopo il Covid c’è un mondo che si apre. È il “post Covid”, cui è dedicato un ambulatorio nell’ospedale di Dolo, gestito dal suo reparto di pneumologia con L’Angelo. Qui è seguita una cinquantina di pazienti, sottoposta a spirometria, per i danni ai polmoni; radiografia, per i danni organici; test Dico, per determinare la capacità polmonare, ed eventualmente tac. «A tanti pazienti che erano stati dimessi con l’ossigeno, ora lo abbiamo tolto perché nettamente migliorati» spiega il responsabile dell’ambulatorio, Accurso Aloi. «Abbiamo dato priorità ai pazienti in rianimazione». E aggiunge il direttore generale dell’Usl 3 Dal Ben: «Oltre a curare e raccogliere dati sui residui che il virus, una volta andato via, ha lasciato nel corpo dei pazienti, questo ambulatorio diventa il simbolo della nostra presenza nei loro confronti, anche dopo la guarigione».

Sono di diverso genere le patologie che i pazienti Covid possono essere costretti a fronteggiare, dopo la guarigione. Paralisi della lingua, sindrome di Gulliain-Barré, compromissione respiratoria a lungo termine, insonnia, risveglio notturno improvviso, affaticabilità e ipossemia prolungata le conseguenze più frequenti. «Avendo portato per 4 giorni il casco, per diverso tempo ho faticato ad addormentarmi, perché mi sembrava di non respirare» racconta Antonio Gatto, 60 anni, di Martellago. Trentuno giorni di ospedale per Covid: dal 20 marzo al 21 aprile. «Dopo mesi, ora fortunatamente sto bene e lunedì andrò a donare il plasma per la terza volta».

Ed è la paura la più grande cicatrice per Davide Ongaro, di Jesolo. Appena 30 anni. «Ho avuto paura di morire» dice. «In famiglia ci siamo contagiati tutti: mia sorella, mia mamma e, soprattutto, papà Mauro. È stato ricoverato 40 giorni a Jesolo e non si è ancora ripreso completamente, dal punto di vista psicologico e perché avverte più stanchezza del solito. Anch’io ho avuto paura. Dicono che il Covid è come un banale raffreddore, ma io mi sono sentito svuotato». Ongaro ora è guarito, ma sono tanti i pazienti che ancora lottano contro la “bestia”. «In alcuni non c’è stata una completa normalizzazione del polmone. C'è il rischio di un’insufficienza respiratoria permanente» la spiegazione, per nulla rassicurante, del primario di Pneumologia dell’Angelo Lucio Michieletto. «Poi ci sono i danni neurologici della fase acuta. E casi di paralisi alla lingua o di sindrome di Gulliain-Barré». I pazienti sono seguiti dai fisioterapisti a domicilio e dai logopedisti. I più gravi sono contattati direttamente dalla pneumologia di Dolo. «Ci si rende conto a distanza di almeno tre mesi di come sta realmente il paziente» spiega Aloi. —



© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia