Gli occhi sul cielo di Herat: ecco i versi di Matteo, soldato e poeta

Giovane di Mestre è in Afghanistan con il contingente militare italiano. Fa il cuoco e scrive poesie: «Solo la natura è bella, vera e gentile»

MESTRE. Ho guardato il cielo di Herat, e ho visto tanti sogni avvolti in questo cielo illuminato. Ogni stella un sogno?». Per Matteo Cavallaro, 32 anni, di Mestre, militare dell'Aeronautica Militare in missione in Afghanistan, questo cielo è fonte di ispirazione per la sua passione: la poesia.

Matteo è impegnato nell'area logistica - settore vettovagliamento - del “Regional Command West” di Herat, sede centrale del comando del contingente italiano nell'ambito della coalizione Isaf. Nativo di Mestre, un'adolescenza segnata dalla perdita prematura del padre e trascorsa poi facendo il barman a Venezia, Jesolo e anche nelle lontane Cuba, Giamaica e Grand Cayman, a Londra e in Spagna, si è specializzato nella pasticceria ma sa un po’ di tutto di cucina ed ora è al di là del grande bancone della sala mensa del “Regional Command West” mentre i colleghi, dall’ultimo arrivato al più alto in grado, e gli ospiti gli sfilano davanti con il vassoio per i pasti del giorno.

In Aeronautica Militare da sei anni, è di stanza a Trapani-Birgi, dove c’è la fidanzata Carla Caterina, e a Herat è arrivato il 25 novembre, per restarvi sei mesi. Di poesie ne ha scritte tante ma finora nessuna in Afghanistan.

In questi giorni ad ispirarlo una nevicata scesa copiosa su Herat e sulle montagne intorno, e ne ha scritta una che parla del cielo di questa città.

Il cielo perché anche per lui è quello che più di altro mostra il pulito. «Di notte il cielo ti presenta quello che è e ti dimostra quanto è bella la natura, quanto è vera, pulita, gentile, e quanto invece è disprezzata nel resto del mondo».

Il tema ricorrente nelle sue poesie è la natura, «perché è la vita e la puoi associare alle persone». Disegna anche, «e se faccio il cuoco è perché mi piaceva e mi piace fare le cose cromatiche». La pasticceria è sicuramente terreno fertile per lui.

Il giovane militare è di una pacatezza quasi sconcertante mentre passeggiando sotto la neve nella base di “Camp Arena” racconta ai giornalisti di sé, dei suoi sogni, del suo inseguire la bellezza della natura. «Vuoi mettere una roccia con i suoi buchi naturali che si formano e che sembra una finestra sulla terra, con quello invece che è artificiale? Noi copiamo tutto, ma in peggio». Ma è il cielo di Herat la sua fonte primaria d’ispirazione, perché il cielo è tanto grande. All’alba spesso Matteo guarda il sorgere del sole, per vedere subito il cielo di giorno, e servendosi del telefonino, cui ha fatto seguire sms, ha scritto che l’ha visto come «lo sguardo di una madre che scalda tutto», e che «tutto ciò che è artificiale fatica a nascondersi all’occhio vigile del sole di Herat».

Cos’è l'Afghanistan per Matteo? «Un insieme di etnie e religioni che si mescolano in queste terre ricche di preghiere e di diffidenze. Ma quando è notte, il cielo stellato libera finalmente i sogni imprigionati di giorno. E forse anche le diffidenze».

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