Gli jihadisti presi a Venezia: "L'arresto ci farà più forti"

Intercettati dopo il blitz: "Dio distrugga i poliziotti". Haziraj: "Taglierei la testa agli infedeli come una cipoll"

VENEZIA. Ironizza su quanto compiaciuti fossero i poliziotti, convinti di aver sgominato una cellula di jihadisti pronta ad entrare in azione a Venezia, e a loro augura: «Che Dio li distrugga!». È l’alba del 30 marzo, dopo l’arresto: Arjan Babaj, considerato l’ideologo del gruppo, viene intercettato dagli investigatori.

«Non avere paura». È Babaj che cerca di dare forza ai suoi adepti, tornando su concetti che aveva già trattato durante i suoi sermoni nell’appartamento di San Marco 1776: «Anche se vi picchiano, voi non dovete aver paura e non dovete accettare nulla. Non mi possono fare nulla, l’unica cosa che mi possono fare è rimpatriarlo». E Dake: «Una volta dobbiamo morire, almeno morirò per qualcosa».

«Muoio con la coscienza a posto». Gli investigatori sono convinti che fosse il minorenne il più invasato della presunta cellula jihadista. Ed è proprio lui, nonostante abbia solo 17 anni, a salutare con un’invocazione l’amico Dake Haziraj, anch’egli arrestato: «Fratelli, che Allah vi dia la forza per andare in paradiso, e se dobbiamo morire almeno moriremo Shahida», ovvero testimoni della fede in Allah. Dake precisa che se andrà in carcere «per le cose che ha fatto per Allah» non ha paura, mentre se è per un altro motivo, allora sarà certamente impaurito. E il minore: «Anch’io sapevo che mi avrebbero preso», confermando quanto appena detto da Haziraj, «Una volta devo morire, almeno muoio con la coscienza a posto. Muoio e so perché sono morto, vado in paradiso e non mi importa di nessuno».

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La spia. Parlando con i compagni, il minore avanza l’ipotesi che qualcuno abbia fatto la spia nei loro confronti e che siano finiti nei guai «a causa delle esternazioni di Fisnik di recarsi là», intendendo nella Siria in guerra. Il carcere. L’idea di rischiare il carcere non impaurisce il diciassettenne, anzi: «È un evento voluto da Allah per mettermi alla prova e questo arresto ci renderà più forti».

I timori. Mentre le ore passano, ai quattro kosovari sale la preoccupazione. Haziraj è in pensiero per i genitori e spera che uno degli indagati (che poi verrà espulso) possa tornare a casa «per far sparire qualche cosa», senza specificare di cosa si tratti. Chiede a Babaj se ha tante cose e l’ideologo risponde: «Un bel po’», affermando subito dopo che sarebbe stato meglio se avessero cancellato tutti i messaggi e cambiato più spesso i telefonini.

Aspirazione alla jihad. Gli investigatori stanno continuando il lavoro di traduzione delle intercettazioni fatte a marzo nella casa di San Marco dalle quali emerge la totale adesione alla jihad. Parla così Haziraj: «Gli infedeli! Per Dio taglierei loro la testa come tagliare una pesca, per Dio, come tagliare una cipolla! Se avessi pietà mentre taglio delle teste, Allah mi dovrebbe uccidere subito, sarebbe un grande fallimento da parte mia». E Babaj: «Chi chiede il permesso per andare in Siria vuol dire che non ha capito nulla: non si chiede il permesso per andare in paradiso». E ancora: «Se non fosse per la fratellanza che sta qua, sarei entrato in guerra già da un po’».

L’analisi dei cellulari. Nel cellulare di Babaj gli specialisti stanno vagliando in questa prima fase la messaggistica sull’applicazione “Telegram”. In un canale dedicato al conflitto siro-irakeno, a cui l’ideologo era iscritto, sono stati trovati 500 messaggi, molti anche con immagini truci di guerra e uccisioni, tra cui quella di un uomo che viene decapitato.

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I coltelli. Sono due a serramanico quelli sequestrati: uno trovato nella giacca di un indagato, l’altro nella tasca dei pantaloni di Babaj che erano a terra.

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