«Gli americani stregati dalla lingua di Dante»

Annavaleria Guazzieri, dirigente del Marco Polo, da ottobre è a New York per supervisionare l’attività dei prof d’italiano in un’area che comprende tre Stati
Il fascino dell’italiano, si sa, è imperituro. Non conosce confini, travalica mari e continenti. Ma se pensate al solito
made in Italy
, vi sbagliate. Qui non si parla solo di arte, calcio, pizza, moda ma si parla anche dell’idioma caro a Dante, Manzoni e Calvino: la lingua italiana. Un’attrazione che non lascia immune gli Stati Uniti.


A raccontarlo è la dirigente scolastica del Marco Polo, Annavaleria Guazzieri. La preside veneziana, infatti, dallo scorso ottobre vive e lavora a New York, al Consolato generale d’Italia, con l’incarico di dirigente scolastico consolare. Lì si occupa di supervisionare le attività didattiche in lingua italiana nell’area del Tri-State (stati federali di New York, Connecticut e New Jersey).


Preside Guazzieri, in cosa consiste esattamente il suo lavoro?


«Il mio ruolo è quello di coordinare tutti gli insegnanti italiani inviati dal Miur come “ambasciatori” della lingua e della cultura italiana all’estero: due lettori insegnano presso le università del Queens College e della Rutgers, e altri due insegnanti lavorano rispettivamente alla Unis (scuola dell’Onu), dove circa 100 ragazzi liceali studiano l’italiano come terza lingua straniera; e alla “Scuola d’Italia Guglielmo Marconi” - una scuola paritaria bilingue a Manhattan, riconosciuta dal Miur come unica scuola paritaria di tutto il nord-america, alla quale sono iscritti bambini e ragazzi dalla scuola d’infanzia fino al liceo».


Insomma, la lingua italiana è diffusa anche in America?


«Certamente. In circa 200 scuole statali (State High School), si insegna l’italiano come lingua straniera. Qui mi avvalgo del supporto dello IACE, associazione culturale che gestisce fondi ministeriali erogati dalla Farnesina per favorire la nascita di corsi d’italiano all’estero. I corsi sono frequentati sia dai discendenti degli italiani, e in quest’area ce ne sono moltissimi, sia da studenti che sono interessati allo studio dell’italiano. In più, in queste scuole ci si prepara per sostenere l’AP-Italian».


Cioè?


«Un esame di fine corso che certifica la competenza linguistica e garantisce una corsia preferenziale a livello di tasse universitarie e crediti per l’ammissione ai college universitari. E l’italiano è una delle poche lingue straniere a cui il governo a stelle e strisce riconosce questo privilegio.


E sono in tanti a sostenerlo?


«Nell’area geografica di mia competenza, sono più 1200 gli studenti che superano annualmente l’AP. E nella zona del Tri-State c’è la concentrazione più alta di studenti di italiano: il 51% di tutti gli Stati Uniti».


Oltre alle scuole, dove si diffondono la lingua e la cultura italiane?


«Sempre a New York, ci sono molti centri: oltre alla Dante Alighieri, tra le tante ci sono anche la Italian Academy Columbia University, la Zerilli-Marimò, la Belvedere a Staten Island, il centro Primo Levi. Tutti luoghi dove si punta a diffondere la cultura italiana. Ad esempio, ad ottobre nell’ambito della settimana della lingua e della cultura italiana, alla New York University Richard Gere ha letto un brano del “Barone rampante” di Calvino, tradotto da pochi mesi in inglese per la prima volta».


Come valuta i primi tre mesi del suo incarico oltreoceano?


«Un’esperienza positiva e totalmente nuova. Lavoro in un contesto privilegiato dove il confronto con altre realtà culturali prestigiose è molto gratificante. Ho sempre desiderato un’esperienza lontano dall’Italia, un’occasione per confrontarsi con culture diverse».


Avrà avuto modo di fare un confronto tra la realtà scolastica americana e quella italiana. Cosa ne pensa?


«La didattica italiana è in salute, gli studenti italiani sono abituati a studiare e a ragionare in modo critico. Con un approccio più riflessivo che pragmatico. Questo è anche merito dell’ottima preparazione dei docenti. Differenze, però, ci sono nelle strutture, come i laboratori scientifici, i campi sportivi e i teatri scolastici, che sono finanziate con grandi investimenti sia pubblici sia privati».


C’è qualcos’altro di cui possiamo essere orgogliosi, a livello scolastico?


«Le faccio un esempio: il sindaco di New York sta investendo molto su istruzione prescolare e mense gratuite. In Italia questo c’è sempre stato. La gratuità e la diffusione capillare delle scuole statali, anche quelle dell’infanzia, è una caratteristica italiana che manca all’estero e va preservata».


Cosa porta della sua esperienza veneziana a New York?


«La capacità di costruire collaborazioni internazionali. Venezia, tuttavia, rimane nei miei pensieri e vorrei poter fare qualcosa anche per le scuole veneziane. Mi auguro di costruire l’opportunità di scambi culturali e gemellaggi tra le scuole venete e quelle newyorchesi, e rafforzare il ruolo di Venezia e di Ca’ Foscari, alla quale sono legata per il mio percorso formativo, verso l’insegnamento della lingua Italiana all’estero».


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