Gli aborigeni sbarcano al Lido e raccontano l’amore in tribù
di Manuela Pivato
Con lo scopino di saggina sulle pudenda, le piume tra i capelli e i fili di semi intorno al collo; a piedi scalzi, in una gloria di paglia e innocenza, sbarcano al Lido gli aborigeni dell’arcipelago Vanuatu, nel sud del Pacifico, protagonisti di “Tanna”, dal nome dell’isoletta dove sorge il villaggio di Yakel - 300 anime senza televisione né internet, con l’acqua in comune e un tetto di foglie come casa - diventato l’irresistibile set del film. In questo minuscolo mondo alla fine del mondo, intoccato ma non più intoccabile, due registi australiani - Bentley Dean e Martin Butler - hanno girato una pellicola in linea con il senso di realtà del festival, presentata ieri per la Settimana della critica (Sic). Gli attori sono gli aborigeni scelti dopo il casting nella giungla, i ruoli sul grande schermo rispettano quelli della vita, persino la storia - due giovani che vedono osteggiato il loro amore in nome della pace tra le rispettive tribù - è accaduta realmente nel 1987.
Tutto autentico, dunque, incluso il dubbio che per i cinque aborigeni (tre uomini, una ragazza e una bambina) arrivati al festival senza aver mai visto un aereo né aver mai camminato sugli spilli dell’asfalto, e dopo avere indossato per la prima volta i vestiti al momento dell’imbarco a Sidney, la vita possa non essere più la stessa. «Con questo film vogliamo dire al mondo che ci siamo, esistiamo anche noi e che viviamo in una tale unità e armonia da essere gli uomini più felici della terra, per questo non vogliamo cambiare» spiega Mungau Dain, assaporando il contatto della natica nuda con il cuscino della poltroncina dell’hotel Quattro Fontane.
In uno scambio eguale e contrario di stupefazione, il festival che li accoglie tra gli applausi in Sala Perla - dove improvvisano un ballo -, li segue in sala stampa e infine li mette in posa davanti ai leoni, è lo stesso festival che li lascia a bocca aperta. «No, non hanno mai visto un film in vita loro» conferma Dean. Nelle 48 ore che a Tanna saranno tramandate per le prossime dieci generazioni, gli aborigeni hanno visto Venezia, assistito alla Regata Storica, sono stati all’Excelsior, saliti in un ascensore pigiando il bottone, hanno dormito in un appartamento, cenato al ristorante, sfiorato un tablet. Un tablet? «Sì» dice il regista «credo che anche loro vorrebbero avere internet perché per usare il cellulare devono salire in cima a un vulcano». Il doppio e reciproco spettacolo, in cui l’aborigeno fotografa i fotografi almeno quanto questi immortalano lui, si sublimerà questa sera sul red carpet di “11 minut” del polacco Jerzy Skolimowski che ha offerto una porzione della sua passerella al cast di “Tanna”. Se il candore è perso, almeno i piedi nudi sono salvi.
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