Giù le fiaccole del Cvm simboli della chimica

Il 13 e 14 luglio  saranno demolite le torri dove si sono arrampicati gli operai che volevano salvare la chimica

PORTO MARGHERA. Cinquant’anni di storia dell’industria petrolchimica veneziana e degli uomini che l’hanno realizzata abbattuti in venti secondi con una piccolissima carica esplosiva.

Si concluderà così, il 13 e 14 luglio con l’abbattimento delle due torri del cvm, la lunga e drammatica agonia degli impianti industriali che fino al 2009 producevano cloruro vinile monomero e plastica in pvc a Porto Marghera.

Con la demolizione programmata, le due torri con le fiaccole di sicurezza – alte 160 e 185 metri – non svetteranno più su quel che resta del Petrolchimico, dove già sono stati eliminati i vicini impianti del tdi e quelli del caprolattame, dell’acido solforico, del clorosoda e delle fibre acriliche.

Tutti gli altri impianti e i depositi – esclusi due predisposti nelle operazioni di bonifica delle condutture e reattori – sono, infatti, già stati demoliti e smaltiti. In piedi restano solo le palazzine degli uffici amministrativi e dei laboratori di analisi che dovrebbero essere venduti insieme ai circa 6 ettari di terreni (affacciati su via della Chimica e sulla banchina del canale Ovest) ancora da mettere in sicurezza o bonificare, a secondo dell’utilizzo che un eventuale compratore - per ora non c’è - ne vorrà fare.

Le due torri delle fiaccole sono gli ultimi simboli del polo industriale della chimica di base, la più grande area industriale del Veneto: negli anni settanta occupava decine di migliaia di lavoratori che accorrevano a Porto Marghera dall’entroterra veneziano per conquistarsi il “posto fisso” e una busta paga ben più sostanziosa di quella che assicurava il lavoro in campagna.

Su queste due torri si è consumato anche l’ultimo atto di “resistenza” dei lavoratori dopo la decisione della multinazionale Ineos di chiudere definitivamente la produzione e il fallimento dei seguenti tentativi di vendita e rilancio di un ciclo produttivo non più remunerativo, a Porto Marghera, per gli alti costi energetici e ambientali.

Un ciclo produttivo ad alto impatto energetico e ambientale messo sotto processo per gli scarichi in laguna e le morti degli operai esposti per anni ai micidiali effetti delle fuoriuscite di un gas cancerogeno. «Quanti operai ha ucciso il cvm?», titolava la Nuova Venezia dell’11 giugno 1994, nella pagina che presentava il dossier dall’ex operaio del Petrolchimico, Gabriele Bortolozzo, unico sopravvissuto di una squadra di sei addetti alla produzione del cvm.

Il processo che ne seguì si aprì il 13 marzo 1998 e si concluse con l’assoluzione dei dirigenti di Eni e Montedison sotto accusa per 157 “morti “bianche”. Nel maggio 2004, la corte d’Appello condannò invece 5 ex dirigenti Montedison a 1 anno e mezzo di reclusione per «omicidio colposo» di un operaio morto di angiosarcoma epatico nel 1999».

Prescrizione per tutti gli altri.

La demolizione delle fiaccole è il capitolo finale dell’amministrazione straordinaria e del successivo fallimento di Vinyls Italia che ha fermato gli impianti nel 2009 e cinque anni dopo, allo scadere della cassa integrazione straordinaria, ha licenziato anche gli ultimi 140 operai che dal dicembre prossimo non potranno più contare sull’indennità di mobilità.

Proprio sulla torre di 160 metri, la prima che sarà abbattuta giovedì prossimo, si sono arrampicati e accampati per settimane e a turno operai e operaie della Vinyls, nel disperato tentativo di impegnare politici e Governo nel salvataggio del loro posto di lavoro e di una produzione, come quella del pvc, che ha ancora un mercato fiorente sia in Italia e in Europa.

Sotto la torre della fiaccola “occupata” dagli operai si è visto il pellegrinaggio di amministratori e politici locali e nazionali.

Si sono visti anche leader sindacali nazionale, come Susanna Camusso (Cgil), l’ex assessore provinciale Francesca Zaccariotto - salita lei stessa fino in cima dove c’era il bivacco degli operai - e l’allora ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, che aveva garantito l’interessamento di un fondo d’investimento svizzero che poi però si è dileguato, al pari di un fondo del Qatar che sembrava ormai deciso a rilevare gli impianti e a rimetterli in marcia.

Prima di loro è fallito anche il malandato tentativo di un piccolo imprenditore trevigiano, Fiorenzo Sartor che aveva rilevato gli impianti del cvm e del pvc da Ineos per poi portare, pochi mesi dopo, i libri contabili in tribunale.

È svanita pure l’operazione di salvataggio e rilancio promessa dalla famiglia di Saverio Dal Sasso, trevigiana anche questa, e titolare dell’Oleificio Medio Piave (Omp), che ha acquistato l’area del vicino Clorosoda – di proprietà di Eni – con tanto di accordo in cui si impegnava a riassumere i lavoratori. Accordo che non è stato rispettato, mentre l’Omp ha presentato istanza di concordato preventivo al tribunale di Treviso e ora è sotto inchiesta per “insolvenza fraudolenta”.

Il 13 e 14 luglio è anche all’ultimo atto della procedura fallimentare decretata nel 2014 dopo cinque anni di amministrazione straordinaria, con la nomina di tre commissari, tra i quali l’avvocato Mauro Pizzigati poi nominato curatore fallimentare.

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