Giovedì grasso baciato dal sole migliaia sfilano a San Marco
Nel freddo e nel sole, in cerca di qualcosa che riscaldi, che nutra e, soprattutto, che faccia Carnevale. A migliaia - quindi in tanti, ma non in tantissimi - sono arrivati ieri in laguna per il giovedì grasso, l’ultimo giorno utile ai veneziani per scappare in montagna e il primo giorno della volata finale, quella che stabilirà se il Carnevale 2016 è stato un successo, almeno numericamente parlando.
Di sicuro, sarà ricordato come il Carnevale senza maschere e non solo per via dell’ordinanza che, per motivi di sicurezza, impone di mostrare il proprio volto ai varchi di Piazza San Marco. Al Carnevale delle arti e dei mestieri, il primo del sindaco Luigi Brugnaro e il primo del nuovo direttore artistico Marco Maccapani, la gente è arrivata per lo più in jeans e piumino, come se la festa fosse altro da sè.
Ad attendere turisti e pendolari scesi dai treni, chi con il trolley per l’intero fine settimana e chi con lo zainetto, il tendone del “campo dei sapori e delle tradizioni” a San Geremia: baccalà e salumi, formaggi, olio e assaggi di cucina kosher, ma anche tabarri e costumi, tutto insieme, sotto un tendone bianco.
Il sole, nel quale pochi speravano dopo il diluvio di mercoledì sera, ha illuminato come fosse marzo i volonterosi acrobati di strada che, in maglietta, si sono esibiti lungo Strada Nuova fiorita come non mai di botteghe e banchetti di maschere che ormai sono in vendita come i vetri, due per una, tre per due, e via via, nel gioco al ribasso, anche al prezzo minimo di un euro.
Nel sole si sono esibiti gli attori dell'associazione Compagnia L’Arte dei Mascareri che, partiti da San Giacometto, sono arrivati fino in Piazza San Marco per la rievocazione de “La ballata, il toro”, spettacolo che riprende l’antico aneddoto di un giovedì grasso di quasi mille anni fa in cui si celebrava la vittoria del doge Vitale Michiel II sul Patriarca Ulrico di Aquileia con dodici feudatari ribelli.
Per ricordare il tentativo di insurrezione finito nel sangue, ogni anno venivano inviati al Doge un toro, dodici pani e altrettanti porci ben pasciuti; il toro-patriarca veniva quindi decapitato. Così come è accaduto ieri pomeriggio (il toro naturalmente era finto) davanti alla folla, in linea con la decisione di Maccapani di risvegliare e imbandire le tradizioni e le storie della Serenissima ispirandosi anche ai nomi delle calli.
Di sicuro sono stati molto graditi i galani distribuiti dai camerieri dell’Harry’s bar che per due volte, in mattinata e nel pomeriggio, in un doppio flash mob, hanno offerto galani e Bellini sulle note della Traviata, sottintendendo anche una qualche riappacificazione di Arrigo Cipriani con il Carnevale.
Sorpresa nella sorpresa, mentre i musicisti della BrassOpera della Fenice intonavano il “Libiamo ne’ lieti calici”, dall’arcata centrale del ponte davanti al Correr, sono usciti i camerieri per vere libagioni.
I veneziani (che non vendono maschere) intanto respirano in attesa del gran finale di questo week end. Per le calli si cammina, nei bar si può bere il caffè, sui vaporetti quasi quasi si riesce a salire. Perso il suo significato ludico e culturale, ridotto a festa meramente commerciale, il Carnevale potrebbe trovare nella sopportabilità dei numeri una nuova misura. Basta con i 100 mila, come si invoca da anni. Fossero anche la metà, qualcosa avanzerebbe per tutti.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia