Giocattoli e pantegane così si vive nella tendopoli

In riva al canal Salso c’è anche chi ha ricavato un “monolocale” fra mura cadenti Vi convivono romeni che campano di elemosina e metalmeccanici precari

MESTRE

C’è un piccolo presepe in riva al canal Salso che fa sorridere e regala respiri di normalità ai bambini di alcune famiglie romene che vivono in una baraccopoli, a due passi da Forte Marghera. Uno dei piccoli insediamenti di quel popolo di disperati che, arrivati da noi in cerca di fortuna, hanno trovato miseria ed emarginazione, tanto da vivere in riva a un canale con le pantegane a condividere la notte. Una miseria meno misera di quella che hanno lasciato nel loro paese. Con la ricchezza che rimane a portata di mano, ma irraggiungibile, come quelle barche ormeggiate a pochi metri dalla tendopoli, in quel luogo dove i giocattoli dei piccoli sono appesi agli alberi per evitare che le pantegane li infettino con i loro escrementi.

La stalla della natività e l’alberello sintetico sono il Natale di questi disperati. Una lampada con una candela, la luce che illumina la mangiatoia. Sotto la pioggia l’odore degli escrementi disseminati ovunque, non si sente. Come non si percepisce nell’altro piccolo accampamento a un centinaio di metri dove vivono, fianco a fianco, sotto teli di plastica o in tende inzuppate di acqua e fumo altri romeni e ungheresi.

Dalla strada non si vedono gli accampamenti. Nonostante gli arbusti siano spogli, l’intreccio di rami li rende fantasmi al resto della città.

Ieri mattina gli insediamenti erano vuoti. Chi ci vive era già fuori ad elemosinare oppure a fare lavoretti in nero chissà dove. I piccoli li hanno portati altrove. Sono rimasti i passeggini, alcuni abiti, i giocattoli e quel presepe.

Al di là del canale, dentro le cosiddette “casette dei marescialli”, altri fantasmi della nostra città. Qui, rispetto alle tendopo, li si vive tra quattro mura: un privilegio. E, ancora, gente dell’Est, romeni e ungheresi che sopravvivono onestamente alla miseria.

Nella prima casetta che s’incontra appena entrati nell’area del forte, imboccando il viale di destra, c’è un romeno che ospita un ungherese. Il primo è arrivato da tempo in questo posto. Arrivato con tanta speranza e voglia di lasciare la miseria. L’altro è giunto due mesi fa. Parlano lingue diverse. Li unisce la voglia di rimanere onesti, nonostante tutto.

Il romeno si è organizzato. All’esterno, sotto un telo cerato, ha sistemato stoviglie e lavello. Uno specchio, appeso al muro, serve per tagliarsi la barba. Delle cassette da frutta penzolano da un filo di ferro come fossero teleferiche. Servono per tenere lontano dalle pantegane il cibo. All’interno dello stabile, una stufa a gas riscalda la stanza dove due letti sono appoggiati alle pareti.

Il romeno resiste come può alla miseria. Lavora a chiamata come “sabbiatore” nelle cooperative che appaltano i lavori alla Fincantieri. Per lui le vacanze di Natale sono già iniziate. Se gli va bene riprenderà a lavorare dopo l’Epifania. E’ gentile e apre le porte della sua dignità agli ospiti. Mostra l’interno del rifugio. Ha pure degli amici italiani che vivono in viale San Marco. Periodicamente gli fanno visita e gli portano qualche oggetto che non usano più. Gente che si ricorda cos’è la miseria.

Cento metri più in là in un’altra casetta le finestre sono chiuse da teli in nylon. Dentro, nel buio, si scorgono dei materassi e un’ombra sfuggente di un giovane che si nasconde e che non risponde. Abbaia e forte, invece, il cane lupo che un ungherese ha messo a guardia della roulotte che da quattro anni è la sua casa. Lui non c’è, ma il cane è rimasto a guardia della sua povertà.

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