Gesto di follia o strategia per difendersi

“Uno Mattina” indaga sulla confessione di Federica Boscolo Gnolo, arrivata tre mesi dopo l’infanticidio della piccola Farah

CHIOGGIA. Strategia difensiva o presa di coscienza posticipata? In queste ore tutti si chiedono se la pseudoconfessione di Federica Boscolo Gnolo, che in un memoriale scritto nei giorni scorsi ha ammesso di aver causato la morte della figlia Farah, sia frutto di una strategia suggerita dai legali per tentare di evitare l’ergastolo o sia l’epilogo dei colloqui con gli psicologi che l’hanno aiutata a rendersi conto di quanto commesso a fine gennaio, in quella stanza dell’albergo Lilly.

Federica ha ammesso di aver causato la morte, ma non hai detto esplicitamente di avere ucciso la piccola. Una sfumatura non solo formale perché potrebbe racchiudere in sé la differenza tra un ergastolo e una pena ridotta.

Provocare la morte può far pensare anche ad un incidente o ad un omicidio preterintenzionale, contingenze, legalmente, molto diverse dall’infanticidio premeditato.

Una confessione quindi a metà che lascia margini agli avvocati per costruire una strategia difensiva basata sull’attimo di follia poi rimosso dalla mente della giovane e tornato a galla dopo tre mesi.

«La confessione dopo un tempo così lungo», spiega la criminologa Imma Giuliani, intervenuta ieri a Uno Mattina, «può significare due cose: una presa di coscienza di un delitto rimosso o una precisa strategia suggerita dai legali. La storia ci insegna che le donne possono uccidere i propri figli e per mille motivi. Per una vendetta nei confronti dei partner, per la cosiddetta depressione post partum o per una vera e propria psicosi post partum, per liberarli da un peso. Di depressione soffrono otto puerpere su dieci, solo che nella maggior parte dei casi la patologia scompare nelle prime settimane di vita del bambino. In pochissimi casi si arriva alla psicosi post partum e forse questo ne è un esempio. Federica era ossessionata dalla rottura del compagno, dalle difficoltà di crescere una figlia da sola, in un Paese straniero e lavorando, e dal problema all’occhietto di Farah».

Una combinazione di pesi che forse ha portato la donna alla follia decidendo di uccidere la figlia di due mesi. Il magistrato però potrebbe respingere la teoria dell’incapacità di intendere e volere dato che, come hanno sottolineato gli inquirenti di Scotland Yard, dopo l’omicidio ha avuto la lucidità di far sparire il corpicino uscendo con un trolley dall’albergo e rientrando con un altro, simile, e di far sparire tutti i vestitini e gli accessori utilizzati per la piccola. Per la legge inglese l’infanticidio è tale quando il bambino viene ucciso entro il primo anno di età e, malgrado sia prevista la pena massima dell’ergastolo, spesso non viene inflitta perché esistono forti attenuanti a carico della madre. Le attenuanti però vanno dimostrate con prove scientifiche e perizie psichiatriche dettagliate. «Le mamme che uccidono», spiega la criminologa, «o si uccidono assieme ai figli o confessano subito o rimuovono. Qui il caso è particolarmente complicato perché la Boscolo Gnolo ha confessato, e solo per metà, dopo tre mesi».

Elisabetta Boscolo Anzoletti

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