Galan come satana? La procura “assolve” il viceparroco
PADOVA. I parrocchiani non l’hanno mai abbandonato don Francesco: stavano con lui prima di quell’omelia su «satana, corrotto e tentatore». E stanno con lui oggi. Anche se nella predica di don Francesco Bonsembiante, viceparroco di Torre (provincia di Padova), quella domenica mattina del 22 febbraio scorso, il “diavolo” vestiva i panni dell’ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan. Che non ha gradito, querelando il prete (assistito dall’avvocato Fabio Pinelli).
Un prete che lo aveva accostato a «satana...» rammentando i comportamenti corrotti quotidianamente davanti ai nostri occhi e la vicenda giudiziaria dell'ex presidente della nostra Regione, per 15 anni saldamente al potere, uno dei protagonisti dello scandalo Mose finito sul “libro paga” del Consorzio Venezia Nuova con tanto di stipendio milionario grazie al quale ha ristrutturato la villa di Cinto Euganeo. Una villa dove sta scontando la detenzione domiciliare. Paradossi della giustizia: il corrotto ha chiuso e definito il conto penale mantenendo addirittura carica (e stipendio) da presidente della Commissione cultura; il sacerdote, che ha tuonato contro la corruzione (citando Galan a mo’ di cattivo esempio), è finito sotto inchiesta per diffamazione.
Per poco. Il pubblico ministero padovano Francesco Tonon ha chiesto l’archiviazione del procedimento penale avviato a carico di don Francesco (difeso dall’avvocato Orietta Baldovin). E lo ha fatto menzionando le parole di Papa Francesco: «Leggendo alcuni passi dei discorsi pronunciati da Papa Francesco, è evidente che il tema della corruzione, anche nella società civile, rappresenta per la Chiesa una questione centrale e non eludibile» scrive il pm. Che cita testualmente stralci di discorsi del pontefice quando invita a «lottare senza compromessi contro il peccato e la corruzione, che si allarga nel mondo». E ancora quando sollecita «a non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, ed emarginando bisognosi e deboli».
Ancora il pm ricorda come il Papa abbia denunciato: «La corruzione puzza, la società corrotta puzza e un cristiano che fa entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano, puzza... La prima cosa nella definizione del corrotto è uno che ruba, uno che uccide. La seconda cosa: cosa spetta ai corrotti? Questa è la maledizione di Dio perché hanno sfruttato gli innocenti, coloro che non possono difendersi e lo hanno fatto con i guanti bianchi, da lontano senza sporcarsi le mani...». Poi, nella richiesta di mandare tutto in archivio, aggiunge: «Come si può verificare, l’omelia pronunciata da don Francesco è in linea con i precetti della Chiesa... ritenerlo colpevole di diffamazione porterebbe per assurdo a ritenere potenzialmente criminogene anche le espressioni sopra riportate». Insomma se don Francesco finisse a processo per le parole pronunciate nei confronti di Galan, sarebbe in buona compagnia: quella del Papa. Il pm è chiaro: «Il comportamento di don Francesco non integra... il reato di diffamazione...». Per altro «non vi è dubbio che la figura dell’onorevole Galan, tuttora presidente della commissione Cultura della Camera dei deputati, sia pubblica come pubblica... è la figura di don Francesco».
La formula da usare se don Francesco fosse già a processo? Secondo il pm Tonon «il fatto non costituisce reato» chiarisce, precisando che non sono mai state dette frasi offensive. «Don Francesco nel corso dell’omelia ha stigmatizzato comportamenti non consoni alla morale cristiana» facendo «riferimento alle vicende giudiziarie di Galan, evocando la figura del maligno e additando come comportamenti eticamente riprovevoli quello di essersi fatto ristrutturare la casa con i proventi illeciti... L’indagato è un prete... non rivolge i propri strali solo all’operato del signor Galan ma censura anche taluni comportamenti delle banche accusate di finanziare il mercato delle armi».
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