Gabriele Giannetti: «Vi racconto la mia verità»

Intervista esclusiva al figlio del patron Aldo dopo l’accettazione del concordato per gli hotel Monaco e Casa Bianca

JESOLO

Hotel Monaco e hotel Casa Bianca, archiviato il concordato ora i due hotel si preparano alla nuova apertura. Prima il Monaco, che la famiglia Menazza aprirà a giorni, e poi il Casa Bianca che, con l’entrata nella proprietà della famiglia Moretti Polegato sarà riaperto successivamente. Ora la famiglia Giannetti può voltare pagina e il figlio di Aldo Giannetti, Gabriele, fa chiarezza per la prima volta e una volta per tutte sulla vicenda della sua famiglia di albergatori jesolani che guarda al futuro dopo aver gestito fino a nove alberghi.

Ci spieghi cosa è successo in questi anni.

«Mi preme puntualizzare alcuni aspetti di questa vicenda che, forse non sono stati colti appieno. Vorrei fosse chiaro, una volta per tutte, che il sottoscritto, coinvolgendo inevitabilmente la propria famiglia, e intendo mia moglie e mio figlio, ha lavorato negli alberghi Giannetti per decenni e non è stato a casa in attesa che arrivasse il momento di vendere o “svendere” che dir si voglia. Lavorare con mio padre Aldo e la sua ingombrante figura davanti tutti i santi giorni per quarant’anni, non è stato assolutamente facile».

Infatti la figura di sue padre è stata criticata ma anche elogiata.

«Insistere sull’argomento del “patriarca” che ha creato l’impero, lasciando intendere che poi il figlio ha dilapidato tutto, una volta alludendo al cambio generazionale, un’altra agli anni che cambiano, un’altra ancora ai problemi finanziari che magari avrebbe creato proprio lui, non va assolutamente bene per il semplice motivo che non corrisponde a verità».

E allora perché siamo arrivati a questo punto?

«Il motivo del dissesto è solo la cattiva gestione dell’azienda che mio padre, chiuso nel suo ego, ha messo in atto da quando è venuta a mancare mia madre, unico perno di tutto sin dall’inizio. Ha voluto sempre gestire tutto lui e così siamo arrivati a perdere tutto. Gli voglio un gran bene e lo ammiro da sempre, ma così sono andate le cose. Personalmente, non potendo fare altro, ho imbastito, seguito, diretto da dietro le quinte. L’unica via di fuga che si poteva attuare per ovviare a un fallimento sicuro, non certo causato da me, era la richiesta di concordato fallimentare, dando la priorità alla famiglia Menazza, per la stima e la simpatia che da sempre provo nei loro confronti. Poi, loro si sono avvalsi di ottimi collaboratori che, guarda caso noi non abbiamo mai avuto, proprio perché mio padre si è sempre circondato di persone che gli dicevano solo “sì” in quanto solo quel tipo di persona può andare d’accordo con lui. E si è visto com’è andata. Chi ha lavorato con me all’Excelsior per 17 anni e al Casa Bianca per 13 sa quel è stato i mio impegno. Mi sono laureato in filosofia a Venezia, dopo il liceo scientifico in Svizzera, a 8 anni, nel 1974, facevo il facchino con entusiasmo all’hotel Ambasciatori e Aquileia, ma di me ricordano ovviamente solo la Lamborghini verde, che di certo potevo permettermi allora. Passare da rampollo, figlio di papà che non ha saputo gestire l’impero del “patriarca” per la gioia di certi jesolani che non aspettano altro, non mi va assolutamente. Ci riflettano loro, piuttosto su come hanno accumulato le loro fortune». —



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