Furti di quadri in palazzi e ville, il pm chiede altre due condanne
VENEZIA. Depredavano i palazzi dei nobili e di noti professionisti soprattutto dei dipinti, ma non disegnavano altri pezzi d’arredamento di valore. E, per evitare che i proprietari si accorgessero del furto, riproducevano, grazie a foto stampate a grandezza naturale, il quadro che portavano via. Così, per mesi nessuno si era accorto di essere stato derubato.
La banda, a capo della quale c’era il principe decaduto Cristiano Barozzi, è stata scoperta perché uno dei componenti, un domestico dello Sri Lanka che era stato complice dei ladri, ha deciso di confessare.
E, ieri, il pubblico ministero di Venezia Giorgio Gava ha chiesto altre due condanne per altrettanti imputati: si è battuto davanti al giudice monocratico Savina Caruso per una condanna a otto mesi di reclusione e 300 euro di multa per il 47enne dello Sri Lanka Roslian Baddeliyanage e a due anni e dieci mesi e quattromila euro per il veneziano Alberto Livotto.
Il rappresentante della Procura ha spiegato che la pena considerevolmente bassa per il primo si deve al fatto che ha collaborato con gli inquirenti e senza le sue dichiarazioni non sarebbero stati individuati tutti i componenti della banda. Il veneziano, titolare di una rivendita di maschere, invece, sarebbe colui che avrebbe piazzato i quadri e gli oggetti rubati, insomma, il presunto ricettatore. La prossima udienza, quella in cui interverranno gli avvocati della difesa e sarà decisa la sentenza, è prevista per il 5 novembre.
Barozzi è già uscito dal processo patteggiando una pena di due anni e quattro mesi di reclusione. È stato latitante alcuni mesi nella casa di un amico a Santo Domingo, quindi è rientrato in Italia e il suo difensore ha trovato l’accordo con il pubblico ministero. Altri due veneziani hanno patteggiato la pena, si tratta di due fotografi che avrebbero dato una mano a fabbricare i falsi dipinti, sono Claudio Celadin e Claudio Mella, il primo ha chiuso con sei mesi di reclusione, il secondo con due anni e un mese.
A far scattare le indagini era stata la confessione di uno dei domestici dello Sri Lanka che aveva consegnato le chiavi di casa del suo datore di lavoro alla banda di Barozzi. Secondo la ricostruzione degli investigatori, il principe e i suoi complici entravano nelle case prescelte grazie alle chiavi consegnate loro dai domestici cingalesi, fotografavano i quadri da portar via e li riproducevano a grandezza naturale, quindi sostituivano l'originale con la copia ritoccata con qualche colpo di colore.
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