Fu assolto per le valvole killer Nei guai per aver giurato il falso

L’imprenditore Vittorio Sartori condannato a 6 mesi dal tribunale di Venezia Ha negato di aver ricevuto un prestito di 339 mila euro in gran parte non restituito



Otto anni fa la Cassazione lo assolse per la nota vicenda della valvole killer, l’altro ieri è stato condannato in primo grado a 6 mesi per aver giurato il falso, per una vicenda che affonda le sue radici all’inizio degli anni Ottanta, ma che è comunque legata alla sua attività di imprenditore nella commercializzazione di prodotti medicali. Il protagonista della vicenda è Vittorio Sartori, 80 anni, originario di Este (Padova) ma residente al Lido di Venezia, difeso dall’avvocato Carlo Taormina, mentre la parte lesa è Giovanni Albertin, 75 anni, di Selvazzano, difeso dall’avvocato Mercurio Galasso.

Venerdì Sartori è stato condannato dal tribunale di Venezia per aver giurato il falso nel maggio del 2013 davanti al giudice del tribunale civile negando di aver ricevuto in prestito da Albertin, fino al 2002, l’importo di 339.400 euro, e negando di esseri impegnato a restituirlo con l’interesse del 6% annuo e di essere ancora debitore, nei confronti sempre di Albertin, di 314 mila euro più gli interessi del 6%. E pensare che una volta i due erano non solo insieme negli affari, ma anche amici. Albertin era un tecnico all’ospedale di Padova. All’inizio degli anni Ottanta, raggiunta la pensione, comincia a collaborare con Sartori, aiutandolo nella commercializzazione di prodotti medicali che, data la sua esperienza, conosce bene. È in questa fase che Albertin comincia a prestare soldi a Sartori, il quale garantisce la restituzione con un tasso del 6%. Un patto che vede entrambi d’accordo. Sartori, che propone prodotti medicali negli ospedali di mezza Europa, ha bisogno di soldi liquidi per agevolare la buona riuscita dei suoi affari. Albertin, per il quale il prestito è una sorta di investimento. Alcune volte Sartori si fa consegnare i soldi brevi manu, altre volte li trattiene dalle provvigioni che dovrebbe ad Albertin per il suo lavoro. Gli affari vanno bene, Sartori sa come muoversi. Ma nel 2002 l’inchiesta sulle valvole killer - le valvole cardiache difettose prodotte dalla Tri Technologies e importate da Sartori - aperta dopo la morte di un paziente operato dal professor Dino Casarotto del centro Gallucci scoperchia anche un sistema di corruzione. La partita di protesi, comprata con trattativa privata, è progettata e costruita male. E piazzata negli ospedali con le mazzette.

Quando scoppia l’inchiesta Sartori chiede ad Albertin di rendergli, per farle sparire, la documentazione sul prestito, documento firmato da entrambi aggiornato il 2 gennaio di ogni anno. Sartori teme infatti che gli investigatori possano ricondurre quei prestiti a un giro di mazzette. E produce, a garanzie del credito, una falsa fattura per un antico mobile veneziano - in realtà mai esistito - che Sartori avrebbe comprato da Albertin. Si passa così dalla scrittura di prestito tra privati al debito per il mobile antico. Nel frattempo la vicenda delle valvole killer fa il suo corso - otto anni fa sia Sartori che Albertin sono stati assolti, ma per il primo la Cassazione ha accertato la corruzione se pur non punibile per via della prescrizione - e Albertin intenta la causa civile per vedersi restituire la somma prestata. Una causa senza successo. Ora però con la condanna di venerdì il tribunale di Venezia ha accertato, grazie alle copie fotostatiche della documentazione conservata da Albertin, che il prestito c’era. E che, durante il processo civile che si era chiuso a suo favore, Sartori aveva giurato il falso. L’avvocato Taormina ha provato a dimostrare che la somma sarebbe stata restituita tramite l’assunzione della moglie di Albertin, ma il giudice non gli ha creduto. Taormina ha annunciato appello, anche se tra 4 mesi il reato sarà prescritto. «L’assunzione della moglie risale all’inizio degli anni Ottanta», spiega l’avvocato Calasso, «e non ha nulla a che vedere con la restituzione della somma». —



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