Frasi razziste su Facebook, la prof a processo

Fiorenza Pontini, ex docente del liceo Marco Polo, davanti al giudice il 6 aprile. La difesa: «Quei post erano parole in libertà»

VENEZIA. Per la difesa, rappresentata dall’avvocato Renato Alberini, erano solo «parole in libertà» dalle quali non emergevano contenuti pericolosi. Frasi come “Musulmani tutti delinquenti, vanno estirpati alla radice”, “Vi odio maledetti, vi brucerei vivi” e ancora “Ah e poi ho torto quando dico che bisogna eliminare anche i bambini dei musulmani, tanto sono tutti futuri delinquenti”, che Fiorenza Pontini, 60 anni, ex docente di inglese del liceo Marco Polo, aveva scritto sul suo profilo Facebook tra luglio e agosto dello scorso anno, scatenando polemiche a non finire, un procedimento disciplinare e una segnalazione in Procura che nel frattempo ha fatto il suo corso.

Ieri per quei post Pontini è stata rinviata a giudizio dal gup Alberto Scaramuzza. A chiedere il processo erano stati i procuratori aggiunti Adelchi d’Ippolito e Paola Mossa. L’ipotesi di reato contestata all’ex docente - da fine maggio, in seguito all’accordo con il Ministero dell’Istruzione, trasferita con incarichi amministrativi all’ufficio scolastico provinciale - è la violazione della legge 654 del 1975, la cosiddetta legge Mancino, che ratifica la convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. Con i suoi post, secondo la Procura, Fiorenza Pontini avrebbe «incitato alla violenza e commesso atti di provocazione per motivi razziali, etnici e religiosi». Buona parte degli interventi di Pontini sulla sua bacheca social erano a commento di notizie di stampa. Un esempio su tutti: il 20 agosto 2016, in relazione alla notizia del salvataggio di un gruppo di migranti, aveva scritto: “Un altro salvataggio, ma non potevate lasciarli morire”.

Il gup Scaramuzza ieri ha deciso di accogliere la richiesta della Procura e di far processare Fiorenza Pontini. La difesa aveva chiesto il proscioglimento. L’imputata non era in aula. La prima udienza è stata fissata il 6 aprile davanti al tribunale in composizione collegiale. La difesa non ha volutamente scelto di chiedere un rito alternativo, che avrebbe evitato il processo in aula, poiché vuole dimostrare nel corso del dibattimento l’estraneità dell’imputata alle accuse. «Le espressioni, per quanto forti ed enormi, non devono essere prese alla lettera, ma valutate come estemporanei commenti dettati da timori, paure ed angosce», chiarisce l’avvocato Alberini, «L’idea di arginare un’opinione, anche la più inaccettabile o infondata che sia, con la sanzione penale è in contrasto con uno dei capisaldi della nostra Carta Costituzionale: l’articolo 21 non pone limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, neppure in caso di possibile contrasto con un altro principio generale di portata costituzionale quale il divieto di ogni forma di discriminazione».

©RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia