Folla commossa per l’addio a Ligabue
«Era un grande paleontologo. Ma anche un imprenditore geniale. Si era inventato lui il rifornimento agli off shore, alle piattaforme petrolifere. Aveva noleggiato gli elicotteri e si era garantito la commessa. Un grande». Dino Sesani commercialista novantenne, ricorda con gli occhi lucidi la figura di Giancarlo Ligabue imprenditore.
Chiesa di Santo Stefano gremita, ieri mattina, per dare l’ultimo saluto a un veneziano eccellente. Uomo d’affari e ricercatore, ma anche figura familiare. Che dialogava allo stesso modo con i capi di Stato e con i cittadini qualunque: un’empatìa particolare che gli consentiva di comunicare con tutti, senza barriere.
Il feretro è a terra, la bara ricoperta di fiori sotto il soffitto della Chiesa gotica, l’unico al mondo che ricorda la chiglia di una nave rovesciata. Anche questo un segno dell’amore di Ligabue per i viaggi e la ricerca. Lo ricordano dall’altare gli amici e i parenti, il suo fedele Massimo Casarin, vicepresidente del centro Studi e ricerche a lui intitolato. «Una vita dedicata alla conoscenza», dice, «e un’umanità che lo aveva reso vicino a tanti, aveva un contatto diretto con le persone, qualunque ruolo sociale esse avessero».
Ligabue ha impiegato fondi ed energìe alla scoperta di mondi sconosciuti, «alle origini della vita». Ricerche, reperti, campagne di scavo, scheletri sepolti di animali e di ominidi. La più famosa quella dei primi anni Settanta con la scoperta dell’Ourosauro del Tenerè, in Niger e del coccodrillo gigante. Pezzi pregiati, donati al Museo di Storia Naturale del Fondaco dei Turchi insieme a una preziosa collezione di oggetti e di reperti. «Museo trasformato da allora in un grande museo di fama europea», ricorda un amico.
Bara ricoperta di fiori, paramenti viola, una folla variegata venuta a salutare «Giancarlo». In prima fila il figlio Inti, che ha già raccolto i desideri del padre per allargare la ricerca e avviare una campagna perché gli sia intitolato il Museo; la sorella Anna, i nipoti. C’è il mondo dell’industria, con il presidente Matteo Zoppas, e poi Luigino Rossi, imprenditori e amici, il commissario Vittorio Zappalorto con fascia tricolore, il procuratore aggiunto Carlo Nordio, esponenti dei comitati privati come Frances Clarke e del mondo scientifico veneziano.
«La curiosità e il contatto con la gente erano le doti che tutti riconoscono al grande Giancarlo», ripete commosso dall’altare il suo amico Casarin, salito da dipendente a consigliere speciale di Ligabue. Presidente della Reyer dei tempi d’oro, capo del gruppo imprenditoriale fondato dal nonno e dal padre Anacleto. Parlamentare europeo per Forza Italia e a lungo titolare del Caffè Quadri in piazza San Marco, presidente della Fondazione Cini e socio dell’Istituto veneto. Ma soprattutto ricercatore e uomo di cultura. Spedizioni in tutto il mondo, con disavventure varie. Come il rapimento subito in America Centrale, trent’anni fa, insieme all’inseparabile giornalista del Corriere e documentarista Viviano Domenici. Una rivista – Ligabue Magazine – curata dal suo amico Adriano Favaro – campagne di ricerca e scavo che ancora proseguono, quest’anno nei deserti del Kazahistan. Chiesa strapiena e un omaggio silenzioso dei tanti che lo hanno apprezzato e gli hanno voluto bene.
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