Fiume di messaggi a Pandolfo: «Io ti ho aiutato»

Il telefono di alcune persone in questi giorni sta squillando in continuazione. Il messaggio che ricevono è sempre lo stesso: “Per favore, ricorda a Mario che io l’ho sempre aiutato”.
Le persone vicine alla famiglia di Antonio Pandolfo, per tutti “Marietto” o “Mario grosso”, 64 anni (ma un fisico massiccio allenato in anni di esercizi di potenziamento muscolare in carcere) l’ex braccio destro di Felice Maniero la cui uscita dal carcere avverrà il prossimo 29 ottobre, rispondono con un semplice: “Dirò”.
Sarà infatti Marietto a stabilire chi è stato davvero “amico” e chi “coniglio”.
«Altro discorso», spiega un “amico”, «sarà quello per gli infami. Ma quelli già lo sanno». Condannato per una sfilza di omicidi e rapine raccontati da alcuni pentiti (il primo Felice Maniero), Marietto ha infatti giurato pubblicamente vendetta. E chi lo conosce spiega di non avere alcun dubbio che manterrà fede alla parola.
Sin dal 1994, anno del suo ultimo arresto, alcune rendite sono state messe a disposizione della moglie e dei due figli di Pandolfo da persone della Riviera del Brenta. La famiglia ha tirato avanti così nonostante le misure cautelari applicate in seguito all’applicazione di quanto previsto dopo la condanna per associazione mafiosa. Nel 2001 infatti il sostituto procuratore antimafia Matteo Stuccilli aveva chiesto e ottenuto dal Tribunale di Venezia il sequestro di tutti i beni conosciuti che potevano essere ricollegati al braccio destro di Felice Maniero e ai suoi parenti. Nel maggio di quello stesso anno, così, i finanzieri del Gruppo investigativo criminalità organizzata avevano posto i sigilli all’appartamento di Dolo dove risiedono i parenti di Pandolfo, tre garage nello stesso paese, l’immobile che ospitava il bar-ristorante Tip-Tap a Campagna Lupia e 23 mila metri quadrati di terreni boschivi a Seren del Grappa, in provincia di Belluno.
Il grosso del “tesoretto”, come avvenuto per il suo ex amico Maniero, non è stato ancora trovato. Si tratta di tanti soldi, frutto non solo delle rapine di cui Marietto era il cardine, ma anche della gestione degli uffici fidi di tutti i casinò oltreconfine. Ma il vero business fu quello del traffico di droga in cui la mafia del Brenta si è gettata anima e corpo, smerciando quintali e quintali di eroina che sono costati la morte di centinaia di ragazzi veneti e la rovina delle loro famiglie.
Un tesoro spezzettato in conti al portatore in Svizzera e Austria in un giro continuo di libretti che era stato inventato da Mario Artuso, l’onestissimo cassiere della banda. Soldi che però la famiglia non vide mai e che Marietto non potè mai toccare visto che la latitanza dopo l’evasione dal carcere Due Palazzi l’ha fatta prima in Turchia e poi facendo rapine in Veneto.
Di qui l’attivazione del codice mafioso che prevede che le famiglie dei carcerati siano mantenute.
Ancora per poco, però. È già stato fissato e si terrà nei prossimo giorni un incontro con il magistrato di sorveglianza. Poi il 29 ottobre Marietto uscirà dal carcere.
Due cose ha detto e ripetuto ai familiari in questi lunghi anni passati in cella: «Ho un conto da regolare» e «Camminate a testa alta, perché io non ho parlato». –
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia