Fiengo: «Mose, Via alle gare e stop alle spese pagate senza controlli»
VENEZIA. «Qualsiasi soldo che arriva verrà messo a gara. Siamo in grado di fare i lavori alla svelta, nella massima trasparenza. E non abbiamo alcuna intenzione di fare arricchire le nostre imprese». Che l’aria sia cambiata, sul fronte delle bonifiche e delle grandi opere pubbliche, lo si capisce anche dai toni dell’intervento di Giuseppe Fiengo, avvocato dello Stato chiamato a governare il Consorzio Venezia Nuova dopo la bufera dello scandalo Mose, ieri relatore al convegno sulle bonifiche. Decenni di monopolio indisturbato e di spese «senza controlli», come ha certificato la commissione presieduta da Alessandro Bratti. Un fiume di denaro speso per i collaudi «spesso inutili» e finito nelle tasche di funzionari e dirigenti del Magistrato alle Acque e del ministero delle Infrastrutture. Collaudi «parziali» e costosi, un grande spreco di denaro pubblico. Lavori fatti senza gare sempre dalle stesse imprese, chiamate dal Magistrato alle Acque.
Adesso Fiengo annuncia che si volta pagina: via alle gare e stop alle spese pagate a piè di lista con i soldi pubblici. Un esempio? Le palancole, barriere di ferro che in molti casi sono ancora lì, arrugginite e danneggiate, sui fondali della laguna. Sistema per intervenire d’urgenza e mettere «in sicurezza» le aree inquinate. «Un sistema spendereccio», dice Fiengo con il suo accento napoletano, «e i conti si facevano a palancola». Risultato, dopo avere speso 800 milioni le bonifiche sono ancora ferme.
Per non parlare dei collaudi. Una partita che si intreccia con quella del Mose. Incarichi destinati a dirigenti del Magistrato alle Acque e del Consiglio superiore, dell’Anas e del ministero delle infrastrutture. Tra i nomi anche gli attuali dirigenti del Provveditorato alle Opere pubbliche Roberto Daniele (400 mila euro), Fabio Riva (76 mila), Cinzia Zincone (173 mila), Piero Tosi (87), Valerio Volpe (57).
La fine dei lavori del Mose è prevista per il giugno 2018, con 4 anni di ritardo rispetto alle previsioni. «Anche questi sono costi aggiuntivi», dice Fiengo. Significa che il prezzo chiuso dell’opera, 5 miliardi e mezzo, potrebbe essere rivisto al rialzo? Ci sono costi fissi, come quelli dei cantieri, che pesano più del previsto. Aumenti di prezzi e di attività che potrebbero modificare i costi delle dighe mobili. Si tratta anche sui risarcimenti.
L’ultimo bilancio del Consorzio Venezia Nuova, firmato da Fiengo e dagli altri due commissari Francesco Ossola e Luigi Magistro, prevede un’entrata di 33,2 milioni a carico delle imprese del Consorzio, Mantovani, Condotte, Grandi Lavori Fincosit, per «prestazioni inesistenti». Si tratta di attività che sono finite nel mirino della Procura e dell’amministrazione finanziaria. Lavori che procuravano fondi neri, poi finiti in tangenti e in spese gestite dal Consorzio che nulla avevano a che fare con l’attività di salvaguardia. Adesso il Consorzio vuole rientrare da quelle spese. E la tensione con le imprese è alta. Ci sono risarcimenti danni contestati, per lavori sbagliati e inconvenienti tecnici come il crollo della diga foranea del Lido, lo scoppio del cassone a Chioggia, l’allagamento della porta della conca di navigazione a Chioggia. E l’ormai famoso jack-up, la nave attrezzata per la rimozione delle paratoie costata oltre 50 milioni che non ha mai navigato e adesso è a Ravenna per riparazioni. «Noi siamo pubblici ufficiali», ha ribadito Fiengo al convegno sulle bonifiche. I commissari devono garantire onestà e trasparenza, ma anche il completamento dell’opera. Su cui insistono molte nubi. Ieri in Senato discussione delle mozioni sul Mose. «Bisogna controllare», ha detto il senatore Felice Casson, «tutti i passaggi autorizzativi alla
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