Mancano i farmacisti: nel Veneziano ne servirebbero almeno trenta

Per la prima volta la carenza di forza lavoro si sente tra chi vende medicinali. Federfarma: «Offriamo più servizi ma siamo pochi, più incontri nelle scuole»

Maria Ducoli
Mancano farmacisti nel Veneziano
Mancano farmacisti nel Veneziano

Tutto è nato con il Covid. Ѐ stato allora che le farmacie hanno iniziato ad occuparsi non più solo della vendita dei farmaci, ma anche di rispondere ai bisogni di salute dei cittadini e, ampliando le loro attività, per la prima volta è emersa anche la carenza di farmacisti.

Le prove generali della farmacia dei servizi sono state fatte con tamponi e vaccini poi, superata la fase più critica della pandemia, quel sogno lungo quindici anni, il cui primo decreto legge risale al 2009, durante il governo Berlusconi, ha preso ufficialmente forma e sempre più realtà hanno ampliato le loro attività, tra vaccini anti influenzali, elettrocardiogramma, holter cardiaco, screening dell’ipertensione e dell’ipercolesterolemia. E, dal momento in cui i servizi sono entrati nel vivo, non si può non vedere la carenza di personale che investe anche questo settore della sanità.

«Ne mancano una trentina» spiega Andrea Bellon, presidente di Federfarma per il Veneto e referente della provincia di Venezia, «il punto è che con la farmacia dei servizi, che ci sta dando grandi soddisfazioni, serve più personale e a volte basta anche solo una persona in meno per sentire la differenza ed essere in difficoltà. Anche perché, lo ribadisco, le farmacie nel Veneziano sono circa 230 e sono dei presidi sul territorio e il punto più vicino al cittadino in fatto di risposte per la salute».

Tutt’Italia si sta scontrando con la difficoltà nel reclutare farmacisti: si stima che negli ultimi cinque anni i laureati siano diminuiti del 20%, con sempre più giovani professionisti che guardano all’industria per la carriera, gli orari e le retribuzioni.

«Si tratta di una laurea molto richiesta» conferma Bellon, «il 70% circa lavora ancora sul territorio, ma la richiesta è alta anche nel mondo della Pubblica Amministrazione e nelle aziende, ricordiamoci che l’Italia è tra i leader mondiali nella produzione di farmaci e integratori, diversi poi vanno nelle farmacie ospedaliere, le opzioni sono tante».

Anche in questo caso, ciò che pesa nella scelta dei neolaureati è soprattutto la possibilità di poter avere un buon equilibrio tra vita privata e lavorativa: «Sicuramente il nostro è un mestiere che ti permette di lavorare sotto casa, abbattendo il costo del trasporto, ma gli orari sono lunghi, prima delle 19.30 non si finisce, poi ci sono i weekend, i festivi e notturni, quando si è in turno. Oggi i giovani vorrebbero finire prima».

Una storia già nota, che attraversa e mette in crisi tutta la sanità, perché i nuovi professionisti stanno rovesciando il paradigma, spiegando con le loro scelte di non voler vivere per lavorare, ma lavorare per vivere. La ricerca di questo equilibrio, però, ha colto alla sprovvista il sistema sanitario e il mondo del lavoro più in generale. Come fare, quindi, per riportare la professione del farmacista in voga? «Per prima cosa serve migliorare l’aspetto comunicativo» risponde Bellon, «vorremmo dare visibilità agli aspetti positivi del nostro lavoro, al valore aggiunto che ricopriamo in quanto attività di vicinato. Le istituzioni, però, dovrebbero aiutarci a valorizzare queste caratteristiche, favorendo maggiori incontri con le scuole superiori, a fini orientativi».

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