Fanghi inquinati, costi non giustificati

Un protocollo del 1993 costringe a «ripulire» anche quelli di tipo B, ritenuti non pericolosi. E il Provveditorato chiama Roma
Di Alberto Vitucci

I fanghi di tipo «B» non sono inquinati. Ma da 23 anni vengono trattati e portati nelle discariche autorizzate, con costi maggiorati del 50 per cento. Centinaia di milioni di euro pubblici spesi per il «disinquinamento», su cui ora ha indagato anche la commissione parlamentare sul traffico illecito di rifiuti.

Situazione insostenibile, che ha convinto il presidente del Provveditorato alle Opere pubbliche (ex Magistrato alle Acque) Roberto Daniele a convocare una Conferenza dei servizi a palazzo Dieci Savi. All’ordine del giorno, la modifica di quella normativa che dal 1993 costringe a spese enormi e procedure lunghissime. Ma l’assenza del ministero per l’Ambiente ha provocato la sospensione della seduta e il rinvio di ogni decisione. Con la ventilata minaccia di qualche ricorso all’Unione europea, dove la normativa in materia di ambiente è più elastica di quella italiana.

Il “Protocollo fanghi” era stato firmato l’8 aprile del 1993 da Magistrato alle Acque, ministero per l’Ambiente, Regione, Provincia e Comune. Aveva natura “sperimentale”, e doveva avere validità 365 giorni. Di giorni invece ne sono passati più di 8 mila, e quelle regole non sono mai state cambiate. Non è mai stato nemmeno prorogato, ma le sue direttive sempre applicate, con costi lievitati e ritardi evidenti. «Prevedeva criteri di classificazione di tipo chimico, oggi superati», si legge nelle relazioni del Provveditorato.

I fanghi sono ancora oggi divisi in tre tipologìe: Tipo A (non inquinati), Tipo B (inquinati), Tipo C, molto inquinati. Il fatto è che il 97 per cento dei fanghi scavati è di tipo B. Dunque per quasi tutto il materiale estratto esiste l’obbligo del trattamento chimico prima del riuso. Una procedura che lo stesso Provveditorato definisce oggi «superata». A partire dal 2003 molti studi, secondo palazzo Dieci Savi hanno dimostrato l’inesistenza di rischio ambientale per i fanghi di tipo B. Due anni fa l’Avvocatura dello Stato aveva dato parere favorevole al fatto che i sedimenti lagunari – ad eccezione di quelli inquinati provenienti dalle zone industriali e ad alto traffico, cioè di tipo C – fossero esclusi dal regime dei rifiuti. Dunque potendo essere riutilizzati per la costruzione di barene e interventi morfologici. Un’attività condotta negli ultimi decenni dal Consorzio Venezia Nuova, che aveva affidato le opere alle sue imprese. Che ha provocato anche inchieste giudiziarie – per il disinquinamento delle lagune di Grado e Marano, e per i dragaggi a Marghera. Ma tutto è andato sempre avanti in base al protocollo “provvisorio” firmato nel 1993. Adesso ci si aspetta la revisione di quei parametri, definiti «non più attuali». Da alcune stime per gli interventi già previsti di dragaggi per il Mose e lo scavo dei canali lagunari, la minore spesa può essere quantificata in decine di milioni di euro. Con la possibilità di riavviare il Piano di compensazione per gli interventi dei cantieri del Mose in laguna. In caso di non adeguamento dei parametri, c’è chi ha sostenuto nell’animata riunione della Conferenza dei Servizi il rischio di una procedura di Infrazione europea.

L’analisi obbligatoria di fanghi non inquinati oltre i limiti, se da un lato provoca il proliferare di analisi chimiche e sovracosti ingiustificati, dall’altro sarebbe in palese contrasto con la Direttiva europea 2000/60 e con i decreti nazionali che l’hanno recepita. Un braccio di ferro che dura da 23 anni. E che fino ad oggi ha sempre visto l’affermarsi del ministero per l’Ambiente. Intanto la bonifica di Marghera è ferma, e di milioni per i fanghi ne sono stati spesi a centinaia.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia