Famiglia per 20 anni vicino al papà che lavorava l’amianto a Porto Marghera. Risarcimento da un milione
Il giudice: «Provato lo stretto legame con la moglie, le figlie, i fratelli e i nipoti»
MARGHERA. Quanto vale per lo Stato il dolore dei familiari per un marito, un padre, un fratello, un nonno morto di cancro, che si è sviluppato perché quando lavorava tra le banchine del Porto di Venezia – tra il 1964 e il 1987 – ha inalato micidiali fibre di amianto, sbarcate a sacchi dalle navi, usate nella coibentazione, prima di essere messe al bando per la loro letalità?
Circa un milione di euro, più interessi, ha decretato la giudice del lavoro Silvia Franzoso, accogliendo il ricorso patrocinato dall’avvocato Enrico Cornelio e condannando l’oggi incolpevole Autorità del sistema portuale di Venezia – ma erede del Porto di 40 anni fa – a risarcire la famiglia di un signore morto di mesotelioma pleurico: 300 mila euro alla moglie, 185 mila per ognuna delle due figlie, 80 mila euro al fratello (anche lui ex portuale, in anni in cui la tutela per i dipendenti esposti all’amianto non era contemplata e non venivano adottate adeguate misura di sicurezza). Altri 50 mila euro per ognuna delle due sorelle e 30 mila euro a testa per i tre nipoti.
E non si tratta di un mero calcolo matematico, sottolinea la giudice in sentenza: non basta, infatti, essere parenti stretti per aver diritto ad un risarcimento (detto che all’uomo, in vita, era già stata riconosciuta la malattia professionale e liquidato un risarcimento di 285 mila euro). Bisogna dimostrare che legame affettivo vero, frequentazione, aiuto reciproco c’era.
«L’istruttoria ha potuto confermare come la moglie e le figlie avessero assistito il congiunto durante la malattia e fino al decesso», scrive la giudice, «e che vi fosse assidua frequentazione anche con i fratelli, con ciò implicitamente comprovando l’intenso rapporto di affetti che li legava tutti».
«L’uomo frequentava assiduamente le figlie, i fratelli, le sorelle, la moglie con la quale il matrimonio è durato oltre 50 anni. Con lei, dalla data del pensionamento, aveva accudito tutti i pomeriggi i nipoti, per aiutare le figlie che lavoravano, con ciò creando anche un intenso legame con i nipoti».
Quindi, da una parte, la perizia medico legale che aveva già accertato come il mesotelioma pleurico che aveva colpito l’uomo fosse stato provocato dalla condivisione dall’esposizione all’amianto, veniva scaricato dalle navi; dall’altra, la prova di legami familiari intensi e che si sono spezzati prematuramente. E che per questo – ha decretato il Tribunale di Venezia – vanno adeguatamente risarciti.
«È importante comprendere il senso della condanna, che conferma quella già data dal giudice del lavoro per le sofferenze dal portuale in vita», sottolinea l’avvocato Cornelio, «Sia la vedova, che i figli, fratelli, sorelle e nipoti ricevono risarcimenti importanti. Per quanto riguarda uno dei fratelli, poi, avendo lavorato al Porto la liquidazione che gli è stata attribuita tiene conto della particolare situazione psicologica che lo ha colpito».
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