Falso oltre il 40 per cento del radicchio di Chioggia
CHIOGGIA. Non ha il valore commerciale del grana padano, né del prosecco di Valdobbiadene e neppure del prosciutto crudo di Montagnana. Eppure il radicchio rosso di Chioggia è uno dei prodotti agroalimentari veneti più imitati e contraffatti. Perfino nei mercati rionali della stessa città.
Lo ha “rivelato” (se vogliamo dire così di un impegno per la promozione che dura da anni) il presidente del Consorzio di tutela del radicchio Igp, Giuseppe Boscolo Palo, al convegno organizzato da Coldiretti, ieri mattina all'auditorium san Nicolò, per parlare di come difendersi dai falsi prodotti Made in Italy. Un mercato, quello del tarocco agroalimentare, che vale 50 miliardi di euro all'anno, in tutto il mondo: denaro sottratto, in gran parte, all'economia nazionale ma che, paradossalmente, viene alimentato anche da produzioni fasulle italiane che, ovviamente, non seguono i disciplinari dei prodotti di cui contrabbandano il nome. «In Italia» ha detto Boscolo Palo «si producono ogni anno due milioni e mezzo di quintali di radicchio. Il Veneto ne produce, da solo, la metà e, di questa metà, quasi l'80%, circa un milione di quintali, è radicchio tondo, ma solo 600mila quintali provengono dai dieci comuni che appartengono all'Igp». Dunque anche solo in termini quantitativi, la “rosa di Chioggia” è uno dei prodotti più contraffatti d'Italia. E il prezzo all'ingrosso che non decolla (12-18 cent al chilo, attualmente, con costi di produzione attorno ai 40) è anche causato da questo eccesso di offerta. Un'offerta ha spiegato Palo, che trae origine a una politica sbagliata di decenni fa, quando alcuni produttori, dopo aver ricavato il radicchio chioggiotto selezionandolo da una varietà di Castelfranco, hanno venduto il seme «in giro per il mondo», consentendo così la nascita di molte varietà ibride che spesso vengono spacciate per «radicchio di Chioggia», senza esserlo. E questa denominazione la si trova nei mercati di tutta Europa e perfino a Chioggia, dove sarebbe logico attendersi, invece, il prodotto Igp. Ora il Consorzio di tutela sta lavorando sia sul fronte dell'associazionismo (nell'ultimo anno sono raddoppiati i produttori locali che vi aderiscono) sia su quello della promozione, coinvolgendo i ristoranti nella proposta di menù con piatti a base di radicchio Igp e i pasticceri nella “riformulazione” della “ciosota”, dolce tipico base di radicchio che, d'ora in avanti, si vorrebbe fosse solo Igp.
Diego Degan
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