Falsi permessi e poliziotti corrotti: «Ho un disperato bisogno di soldi»

Ecco le intercettazioni disposte dopo una segnalazione dell’ufficio di Marghera. I tre agenti arrestati avevano toni amichevoli con stranieri e trans, fino a 9mila euro per avere un documento

MESTRE. Permessi falsi per cinesi, bengalesi ma pure per trans colombiane con cui i poliziotti avevano parecchia confidenza. Pensavano a tutto gli agenti del commissariato finiti in galera. Per un documento chiedevano anche 9000 euro. Nell’ordinanza che li ha portati in carcere il gip Alberto Scaramuzza ricostruisce un quadro devastante per i tre poliziotti. L’indagine nasce da una segnalazione fatta da un agente dell’ufficio stranieri di Marghera su “poliziotti corrotti a Jesolo”.

Vengono svolte verifiche sulle utenze telefoniche e si accerta che l’ispettore capo Riccardo Chiumento aveva avuto ben 174 telefonate con Reaz Abu Syed, proprietario del ristorante indiano “Elman” a Jesolo, ritenuto figura di spicco dell’associazione a delinquere, ora arrestato. Il gip ritiene quei contatti un fatto anomalo, come del resto tutte le telefonate fatte dallo stesso con una decina di poliziotti del commissariato. Da lì è una escalation che porta a microspie sulle vetture di Chiumento e del collega Denis Gobbato, ad intercettazioni dei telefonini degli stessi e sull’uso di gps.

Sono coinvolti tre ristoranti famosi a Jesolo. Il “Paloma”, il titolare del quale spiega agli inquirenti che Gobbato per due assunzioni fasulle gli promette 500 euro ciascuna. Soldi mai pagati anche se le assunzioni sono avvenute. E poi c’è il “Pechino”, il cui titolare è stato arrestato, oltre al ristorante indiano.

Sempre il gip è duro quando sottolinea: «...emerge per tutti e tre (il terzo è Michele Damo ndr), uno spregio per la pubblica funzione ricoperta». E ancora: «...Leggendo la trascrizione delle intercettazioni si nota il tono confidenziale e amichevole che i tre agenti hanno con i cittadini stranieri loro referenti e intermediari. Ogni distanza è annullata e l’attività d’ufficio si riduce a concordare il prezzo delle pratiche e addirittura, in una sorta di servizio chiavi in mano, a portare i documenti al domicilio degli stranieri fraudolentemente regolarizzati».

Di questo si occupava soprattutto Gobbato che per mesi ha portato spesso a Conegliano, dove vivevano, i documenti per le trans che faceva arrivare la colombiana Alexia Restrepo, pure lei trans e regolarizzata in maniera illegale. Lei stessa è socia in affari con i poliziotti. E con loro divideva il denaro pagato dai clandestini arrivati illegalmente. Il rapporto tra Gobbato e le trans, come sottolinea il gip era «molto confidenziale».

Gli stranieri finiti in carcere erano i collettori, a favore dei poliziotti, del denaro che i loro connazionali versavano per i permessi falsi. Parecchio denaro. Il prezzo di un permesso variava tra i 6 e i 7mila euro. Anche perché i soldi non bastavano mai. Emblematica un’intercettazione telefonica che registra Chiumento mentre dice a Gobbato: «io ho...un...disperato bisogno di soldi...entro fine mese, perciò li devo buttare dentro tutti quanti». Sono tre i permessi “da buttare dentro”, per i quali gli stranieri devono versare ancora 3mila euro ciascuno. Ma dove finivano tutti quei soldi? E da quanti anni funzionava questo sistema a Jesolo? Domande a cui l’inchiesta dovrà dare delle risposte.

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