False fatturazioni, jesolani nei guai

Sedici imputati a giudizio. Avrebbero creato società di comodo per poter evadere

VENEZIA. Sono accusati dal pubblico ministero Stefano Ancillotto di aver organizzato un «apparato di cartiere», società di comodo create per permettere alla società «Italy Import» - sede a Jesolo ed effettivamente operante nel settore dell’importazione di bevande - di evadere il fisco: secondo l’accusa, tra il 2006 e il 2007 le società fittizie hanno emesso false fatturazioni per oltre 20 milioni di euro, per permettere alla società “madre” di diminuire artatamente i ricavi e pagare minori imposte, ma anche l’acquisto della merce a prezzi concorrenziali.

Ieri la prima udienza di rinvio a giudizio dei 16 imputati, aggiornata però al 30 gennaio per un difetto di notifica. Agli jesolani Alessandro Gastaldi, Angelo Nopetti e Loredano Forcolin - rispettivamente, legale rappresentante e amministratori unici, in diversi periodi, della Italy Import - il pm Ancillotto contesta un’imposta evasa per 1,2 milioni di euro, con 0 euro dichiarati nel 2006-2007 a fronte di 23 milioni di euro di ricavi effettivi (pari a 4 milioni di Iva) e 16,5 euro di costi effettivi (per 2,7 milioni di Iva).

Gli altri imputati sono Dania Giuriato e Daniela Nopetti (residenti a Jesolo), Bruno Fozzato (residente a Ferrara), Daniele Zamboni (Rovigo),Ennio Sartore (Vicenza), Cristiano Merlo (Vicenza), i triestini Christian Kozlovic, Lorenzo Suerzi Stefanin, Marco Perisco, Daniele Perisco, Stefano Mijat, Francesco Vittorio Valenza (Caltanissetta), Stefano Papa, ora irreperibile e residente in Australia: a vario titolo sono accusati di aver creato 10 società fittizie produci fatture-fasulle. Per alcuni, l’accusa è anche di distrazione di beni di società fallite, come nel caso dei titolari-amministratori della Italy Import, Sartore e Papa, accusati di aver sottratto - con una serie di vendite successive - l’intero patrimonio del supermercato in via Europa 5 a Cavallino Treporti. (r.d.r.)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia