Export agricolo in crisi per l’embargo di Putin

Noale. Alle serre Gambaro il 40% della produzione è diretto in Russia Il blocco mette a rischio venti posti di lavoro. La titolare: «Andrò dal ministro»
Di Alessandro Ragazzo

NOALE. La piega che sta prendendo la crisi in Russia comincia a farsi vedere anche sulle aziende italiane, anche del Miranese: i lavoratori rischiano di restare a casa. Non bastavano le difficoltà interne, con imprenditori costretti a fare mobilità e cassa integrazione. Stavolta i timori arrivano da Mosca, dopo il primo embargo sui prodotti dell’Unione Europea deciso dal suo presidente Vladimir Putin in risposta alle sanzioni subite da Bruxelles e dagli Stati Uniti in seguito alla crisi in Ucraina. Ma la questione potrebbe aggravarsi e il blocco rischia di durare parecchio: si parla di un anno. E a quel punto, anche gli agricoltori dovrebbero rifare i conti.

Ne sanno qualcosa all’azienda agricola “Gambaro Barbara e Paolo” di via Brugnole a Noale, che ha rapporti commerciali con la Russia, tanto da incidere per il 40 per cento sul fatturato totale. Il resto lo fa molto il Nord Europa e in piccola parte l’Italia. L’azienda ha nove ettari di serre ed è specializzata nella produzione di ortaggi da taglio come lattuga, rucola, valeriana e spinacio. Qui si raccoglie il prodotto, lo si confeziona nelle cassette che poi finisce nei camion russi, una decina a settimana da ottobre a giugno, tre in estate, per essere esportato. Insomma, lavora all’ingrosso. Ebbene, qui sono impiegati circa 40 dipendenti, quasi equamente divisi tra fissi e stagionali. E quest’ultimi sono a serio rischio se la situazione internazionale non si dovesse sbloccare.

Barbara Gambaro non è solo preoccupata ma anche decisa a fare squadra con gli altri colleghi per avere presto un incontro con il ministro per l’Agricoltura Maurizio Martina. Intanto ha aperto il confronto con il presidente del Consiglio regionale Clodovaldo Ruffato.

«Mi sa che gli stagionali resteranno a casa al termine del contratto», dice sconsolata Gambaro, «e se la crisi dovesse continuare, non potremmo più richiamarli. Gli altri, invece, stanno smaltendo le ferie. Già arriviamo da un’estate molto brutta; lavoriamo in serra e i prodotti hanno bisogno di luce. Così il ciclo di raccolta si è alzato da 30 a 40 giorni. E operando solo nel Nord Europa rischieremmo di avere una concorrenza più elevata con l’abbassamento dei prezzi nonostante gli stessi costi da sostenere».

Vede nero, dunque, Gambaro, che spera in un incontro con il ministro Martina per far capire il momento drammatico. «L’Europa parla di risarcimenti», precisa la donna, «ma era stato così anche per il batterio-killer ma poi non è stato così. Ora vedremo di metterci assieme come agricoltori».

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