Esplode la rabbia dei dipendenti Ca’ Farsetti sotto assedio per ore
Tutti a Roma. La sfiducia non passa (19 voti contro 26) e la maggioranza esprime «totale solidarietà ai lavoratori che oggi si vedono ridotti gli stipendi senza avere alcuna colpa» e chiede al nuovo governo la revisione del Patto di Stabilità. Cortei, proteste, urla e accuse reciproche. Alla fine l’aula «non approva». E il sindaco Orsoni resta in sella. Una battaglia politica durissima condotta dalle opposizioni, con in mezzo il mancato rispetto del Patto di Stabilità e le sue sanzioni. «C’è una responsabilità politica evidente», attacca Renato Boraso, lista civica ex Pdl, primo firmatario della mozione di sfiducia, «di chi governa questa città e le sue aziende da vent’anni».
L’assedio era annunciato, l’attacco firmato da 19 consiglieri di tutta l’opposizione: Forza Italia e Nuovo Centrodestra, Lega e Prima il Veneto, Fratelli d’Italia, Gruppo Misto e Cinquestelle. «Si sapeva già dello sforamento nell’ottobre scorso», urla al microfono Boraso, «già allora eravamo tra gli enti definiti non virtuosi. Unica soluzione, mandarli tutti a casa». Come un mantra ripetuto, dalle forze politiche, da molte associazioni di destra ma anche dal sindacato, nel mirino ci sono il sindaco Orsoni e la sua giunta. «Finiscono nel conto del Patto di Stabilità anche Casinò e legge Speciale, abbiamo i soldi ma non li possiamo spendere», replica Maurizio Baratello (Pd). Nell’ordine del giorno finale, concordato tra Pd, Udc, Psi, Rifondazione e Lista «In Comune», si ricorda che il Comune ha ridotto l’indebitamento di 72 milioni, utilizzato le risorse per «stabilizzare i precari e i contratti determinati (Cococo)». Che nonostante le riduzioni dei trasferimenti dallo Stato, le spese correnti sono state ridotte ma «senza mettere in discussione i livelli di welfare, i servizi sociali agli anziani, all’infanzia, alla povertà».
È lo stesso sindaco Orsoni a ribadire che «il bilancio del Comune è sano. E che il meccanismo delle sanzioni impedisce di mettere soldi sui contratti integrativi dei dipendenti, anche avendoli a bilancio. «o già parlato con il sottosegretario Delrio e sono certo che il nuovo governo risolverà la questione. La mia preoccupazione sono gli stipendi dei dipendenti, perché per il resto le sanzioni del Patto non incideranno sulla qualità dei nostri servizi. Che questa amministrazione ha sempre difeso nell’interesse dei cittadini. Continueremo così».
Non ci stanno i sindacati. Parlano prima dell’apertura del dibattito. Mario Ragno, Antonio Vanacore e gli altri rappresentanti criticano pesantemente la «mancata agibilità» dell’aula. Si sono riuniti al piano terra e se ne sono andati a casa intorno alle 17. In aula intanto bordate contro la giunta. Giovanni Giusto urla contro il sindaco che incoraggia la moschea. Urla l’ex assessore leghista della Provincia Pierangelo Dal Zotto: «Io il Patto l’ho rispettato». Sventola uno striscione di Prima il Veneto. Il presidente Turetta sospende la seduta e lo fa togliere. Continua il fuoco di fila. Michele Zuin (Fi), Sebastiano Costalonga e Raffaele Speranzon (Fratelli d’Italia), Giusto, Bazzaro e Sottana (Lega). Gianluigi Placella (Cinquestelle), Renzo Scarpa (Misto) attaccano le «responsabilità dell’amministrazione». «La città è in ginocchio», sintetizza Antonio Cavaliere (FdI). Dopo la fiducia, la maggioranza propone un ordine del giorno per fare fronte comune per il cambio del patto di stabilità, ma l’opposizione esce dell’aula. «Scappa al momento di esprimere l'impegno nei confronti di cittadini e lavoratori: fasulla la loro protesta politica», commentano i capigruppo Borghello, Bonzio, Guzzo, Venturini, Caccia e Giordani.
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