Esclusivo / L’atto di accusa dell'ex compagna di Dekleva
TREVISO. «Se io e Lucia ci fossimo parlate, lo avremmo distrutto perché a quel punto sarebbe crollato tutto il suo castello di menzogne. E invece è stato lui a distruggere noi, con Lucia che ci ha rimesso addirittura la vita». È ancora quasi un senso di colpa, il sentimento che prova Cristina, la 48enne trevigiana che credeva di essere la compagna ufficiale di Renzo Dekleva - l’informatore farmaceutico di Marcon accusato di aver ucciso la moglie, la bancaria Lucia Manca – e che invece ne era soltanto l’amante. Lei non sapeva che l’uomo fosse ancora sposato. E che Lucia vivesse con lui a Marcon. Lo ha scoperto soltanto il 14 luglio di un anno fa, quando il caso è esploso. Dodici mesi dopo, Cristina si rimprovera soprattutto una cosa. Di aver dato poco peso alla telefonata che Lucia le aveva fatto tre giorni prima della scomparsa. «L’audio era disturbato. Ho capito soltanto le parole “marito” e “Renzo”. Poi è caduta la linea. Era di domenica, dopo mezzogiorno. La chiamata arrivava da utenza privata. Sono stata tentata di andare a Marcon per vedere, per capire… Poi ho rinunciato. Se lo avessi fatto avrei scoperto tutto, magari si sarebbe scatenato un putiferio ma forse Lucia sarebbe ancora viva».
E lei quel giorno non ha cercato Renzo?
«L’ho cercato, eccome! Ma il suo telefonino era sempre spento. Poi quando nel tardo pomeriggio sono riuscita a parlarci, è caduto dalle nuvole. Mi ha detto, mentendo spudoratamente, che lui stava tornando dalla Croazia dove aveva accompagnato suo padre a un funerale, e che non sapeva dare un senso a quella telefonata. Ha quindi sviato il discorso, esprimendo il timore che Lucia fosse tornata improvvisamente a casa da Milano, e che potesse avergli messo a soqquadro l’appartamento».
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